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Quel treno per Foggia…

Parte 2.

(…segue)

I Lanzichenecchi

I capitoli XXXI e XXXII dei Promessi sposi, sono specificatamente dedicati all’epidemia di peste che calò su Milano nel 1630: «La peste che il Tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel Milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…».

I primi segni della pestilenza si manifestano nell’ottobre del 1629, nelle more della Guerra di successione di Mantova (1628-1631), periferico epifenomeno della ben più importante e decisiva Guerra dei trent’anni (1618-1648), devastante conflitto che si originò nei territori del Sacro romano impero e che vide progressivamente intervenire tutte le maggiori potenze europee del tempo. Fu l’ultima delle grandi guerre di religione scatenate dalla rottura dell’unità cristiana “cattolica” (universale) a causa della drammatica frattura imposta dalla Riforma protestante del 1517.

La pace di Westfalia che pose fine alla guerra nel 1648 segnò l’inizio di una nuova era negli equilibri continentali con il definitivo trionfo degli Stati nazionali. Secondo alcuni, quella data segnerebbe l’inizio dell’età contemporanea.

È in questo contesto, sia pure a livello periferico, che prende le mosse la Guerra di successione di Mantova. Dopo che gli ultimi tre duchi di Mantova erano morti senza lasciare eredi legittimi, i sostenitori dei pretendenti rivali diventarono vassalli, proxy diremmo oggi, nel quadro più ampio del confronto tra la Francia del cardinale Richelieu e gli Asburgo per il controllo degli strategici territori dell’Italia settentrionale.

Il nord della Penisola s’incendia al passaggio delle truppe mercenarie al soldo dei contendenti.

Scrive il Manzoni, leggendo la cronaca con gli occhi di don Abbondio, profugo sfollato sotto la protezione dell’Innominato, deciso a manifestare ora nel bene quell’energia prorompente che la conversione non aveva domato o esaurito ma esaltato: «Si disputava quali fossero i reggimenti più indiavolati, se fosse peggio la fanteria o la cavalleria; si ripetevano, il meglio che si poteva, certi nomi di condottieri; d’alcuni si raccontavan l’imprese passate, si specificavano le stazioni e le marce: quel giorno, il tale reggimento si spandeva ne’ tali paesi, domani anderebbe addosso ai tali altri, dove intanto il tal altro faceva il diavolo e peggio. Sopra tutto si cercava d’aver informazione, e si teneva il conto de’ reggimenti che passavan di mano in mano il ponte di Lecco, perché quelli si potevano considerar come andati, e fuori veramente del paese. Passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e poi quelli di Ferrari; passa Altringer, passa Furstenberg, passa Colloredo; passano i Croati, passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo, passò anche Galasso, che fu l’ultimo. Lo squadron volante de’ veneziani finì d’allontanarsi anche lui; e tutto il paese, a destra e a sinistra, si trovò libero».

Gli eserciti dunque si ritirano ma si tratta di una notizia ambivalente perché lasciano dietro di loro non solo devastazioni ma anche l’ombra cupa e sinistra di un’altra terribile potenza distruttiva: la peste, con i bordelli mobili, compagna inesorabile delle soldataglie di mestiere dell’epoca.

Il Ducato di Venezia, in particolare, per assoggettare quello di Mantova, aveva assoldato un gruppo di Lanzichenecchi, esercito mercenario tedesco che godeva di pessima fama, data la consolidata attitudine di indisciplinati saccheggiatori e di veicoli privilegiati di letali morbilità. Passando da Milano, i Lanzi non persero l’occasione di depredarla, lasciandovi in sovrappiù la loro tragica eredità pestifera.

Facciamo il punto.

Si rendeva conto l’Elkann della vertiginosa sproporzione evocata molto incautamente tra i Lanzichenecchi veri e quei giovani semplicemente e profondamene “male educati”, armati non di picche, archibugi e virus letali bensì di capelli biondi tagliati corti, zainetti verdi e iPhone con cuffia per ascoltare musica…

Si chiedano più opportunamente, dalle parti di Repubblica e consimili, Sgarbi compresi, quale sia l’eziologia esatta di quella esasperante volgarità che appesta, imbrattata e avvelena tutta la società dei tempi ultimi e non solo i trasferimenti per via ferrata di stazzonate giacche di lino, accessoriate di stilografiche e cartelle di cuoio marrone.

Ma chiediamoci anche perché Elkann stigmatizzava, con felino e rapace occhio critico, il fatto che di quei lanzi 2.0 di devastante e pestifera memoria ancestrale nessuno portava l’orologio…

Il Rolex d’ordinanza, si sa, è un punto debole dei radical chic. O degli ancora più diffusi radical cheap esistenziali, anche se generosamente danaruti. Ricordiamo tutti l’amore per i cronometri di lusso di Gad Lerner quando si fece fotografare sul suo terrazzo per aderire all’iniziativa «Maglietta rossa» lanciata da Libera a sostegno dei migranti morti in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. Gli aderenti in un giorno prefissato dalla class action dovevano indossare una maglietta rossa a ricordo del fatto che di rosso era vestito lo sventurato Aylan, morto in mare a tre anni, la cui lancinante foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di tutto il mondo. Lerner ottemperò prontamente all’invito, maglietta rossa d’ordinanza e costosissimo orologio d’oro al polso.

Non l’avesse mai fatto.

Apriti social

Perdendo assai pericolosamente l’aplomb di fronte all’ondata di commenti sarcastici on line («Bel terrazzo…» e molto peggio), l’ex lottatore continuo pensò bene di rispondere piccato, con quella nonchalance autoreferente e priva di adesione al piano di realtà tipica di chi va in solluchero degustando abitualmente immangiabili e maleodoranti ovetti di pesce. Memorabile il suo aggressivo tweet: «Se guarda bene, caro il mio proletario, ho anche il Rolex al polso»…[6]

A parte queste penose divagazioni clessidriche, Guia Soncini ha messo in luce alcuni sfondoni di Elkann senior che erano sfuggiti a tutti, detrattori e soccorritori di quel penitente Odisseo del Terzo millennio, perseguitato nelle lande tra Roma e Foggia da turbe di scalmanati senza nemmeno uno straccio di Rolex.

E nessuno ci fa una gran bella figura: dall’autore, alla redazione culturale di Repubblica sino a dissociati sottosegretari.

Cominciamo con la reiterazione ossessiva del viaggio in “prima classe” dell’avventura di Elkann, venale coperta di Linus con cui la vittima di quei «giovani “lanzichenecchi” senza nome» intendeva avvolgersi per porre un diaframma invalicabile (una frontiera…?) tra sé e i sanculotti modernamente incoronati da stupidi cappellini yankee.

La Soncini fiocina spietata l’Elkann che si reca a un festival a Vieste con un biglietto di business «che agli italiani piace illudersi sia una prima classe. Agli italiani che non si sono mai pagati (o cui nessuno ha mai offerto) un biglietto in executive, dove ci sono otto poltrone e non senti quel che dice il vicino. Le cose non sono conseguenza dei nomi, e la business pure se la chiami così è una seconda classe, ma già per farti fare quella devi discutere, ché i festival fosse per loro ti farebbero viaggiare in terza».[7]

In realtà, Italo differenzia l’Ambiente Prima dall’Ambiente Club Executive: «L’ambiente più esclusivo di Italo dove non esistono confini al relax e al comfort, immersi nella totale privacy» dove «se scegli il Salotto, viaggi in un ambiente riservato, nella massima privacy e con il top del servizio offerto da Italo».[8]

Era evidentemente questa la bolla in cui intendeva viaggiare, con i privilegi dovuti al rango familiare, il padre dell’editore, tra l’altro, di Repubblica.

Ma dove l’implacabile Guia beve inebriata come una baccante il sangue delle sue vittime è quando scrive di un «giornale le cui pagine culturali non sanno sistemare un errore su Proust contenuto in un loro articolo».

La fact checker si chiede infatti se il desk della cultura di Repubblica effettivamente ignori a che punto della Recherche si colloca “Sodoma e Gomorra” e non sia in grado di correggerlo, oppure se scelga maliziosamente «di non correggerlo per boicottare schienadritticamente il raccontino brutto del papà dell’editore».

Sodoma e Gomorra nella Recherche

Come forse si ricorderà l’Alain infastidito ci aveva resi edotti del fatto che stesse leggendo, in giacca e pantaloni lunghi, giornali in inglese e un libro in francese. Con inattesa pignoleria, e chissà perché, aveva tenuto anche a sottolineare il fatto che stava «finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”».

Riguardo alla lettura in originale, forse un tantinet sovraesposta, signorilmente la Soncini segnala che Elkann è figlio d’un banchiere parigino, per cui sottolinea: «quanto bisogna essere complessati per pensare che legga in francese per ostentazione?».

Ben detto, Guia. Ma allora perché, se per lui è così spontaneo e naturale, impegnarsi tanto a farcelo sapere…?

La madre lingua non lo risparmia tuttavia dall’aver coglionato clamorosamente la collocazione di Sodoma e Gomorra all’interno della Recherche tanto da far quasi dubitare della sua stessa dichiarazione di lettura. Perché ciò che Elkann definiva «secondo capitolo» è in realtà il quarto volume dell’opera di Proust che evidentemente quasi tutti i lettori, anche quelli addetti alle pagine culturali di Repubblica, devono aver scambiato per Prost.

Nel senso di Alain, il quattro volte campione del mondo di Formula 1.

Innescando, dunque e per sovrappiù, il malevolo ma non peregrino sospetto che in realtà non avesse tra le mai quel testo una cui semplice occhiata al titolo gli avrebbe permesso di evitarsi tale figuraccia. Il web non lo perdonerà scrivendo, beceramente, di «un vecchio trombone che finge di leggere Proust confondendo pure il secondo volume della Recherche per il quarto».

In effetti lo sfondone – ancora più grave soprattutto per chi intende, saccente, stigmatizzare la grossolana pochezza intellettuale e ignorante dei neo-lanzisti ad alta velocità – è inespiabile.

In quanto – come sa chi ha avuto il più che dubbio onore di perdere sciaguratamente il suo tempo prezioso sul massiccio capolavoro proustiano – il secondo volume dell’opera di Proust (Marcel) è il romanzo À lombre des jeunes filles en fleurs, pubblicato a causa dello scoppio della Grande guerra nel 1918, sei anni dopo il primo volume dalla Recherche, opera che nel 1919 ottenne il Prix Goncourt.

Sodome et Gomorrhe è invece il quarto tomo della serie, uscito nel 1922.

La sinistra sul caviale del tramonto

Ci fermiamo qui. Per carità di patria oseremmo dire, se fosse consentito.

In sintesi di chiusura dell’affaire, quello di Elkann forse non è l’articolo di maggior successo della storia di Repubblica, come scrive perfidamente Guia Socini, grazie al milione di parodie che, con grande impegno, ha saputo guadagnarsi sui social.

Ma resta un icastico esempio di radicalismo chic & cheap.

Da cui si evince che i personaggi più autorevoli e raffinati della gauche caviar altro non sono che le patetiche e grottesche parodie, nel senso guenoniano del termine, degli uomini di “destra”.

Nel segno di una sinistra inesorabilmente sul caviale del tramonto.

[6] https://twitter.com/gadlernertweet/status/1015155640417824770.

[7] G. Soncini, Franchement Il grande successo dellarticolo di Elkann e un suggerimento sentimentale per lestate, Linkiesta, 26 luglio 2023, https://www.linkiesta.it/2023/07/alain-elkann-rubrica-treno-lanzichenecchi/.

[8] Cfr., https://www.italotreno.it/it/il-treno/ambienti-di-viaggio

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