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Gaza e il Nagorno-Karabakh, i vasi comunicanti della geopolitica internazionale

Parte 3.

(…segue)

Si tratta del Great game del XXI secolo che vede l’Europa fare la parte della mosca cocchiera degli interessi atlantici, visto il suo inguaribile nanismo politico che le ha impedito di valutare i suoi stessi interessi e di impegnarsi attivamente per evitare che le tensioni intraeuropee potessero arrivare al punto di lacerazione estremo del conflitto. A tutto vantaggio degli interessi geostrategici eurasiatici dell’Impero del sole calante.

La grande scacchiera

Nel mondo post Guerra fredda sotto il controllo geostrategico statunitense, scrive Brzezinski nel Grand Chessboard, Azerbaijan e Uzbekistan si stagliano insieme all’Ucraina come Stati «che meritano il più forte sostegno geopolitico americano (deserving Americas strongest geopolitical support)».[i] L’asse Israele-Azerbaijan comincia ad assumere un nesso più chiaro in una prospettiva planetaria più allargata di alleanze dettate da comuni esigenze politiche, economiche e diplomatiche.

Il V capitolo del manuale di geostrategia applicata di Brzezinski – significativamente dedicato ai suoi studenti, «per aiutarli a forgiare il mondo di domani» (For my students – to help them shape tomorrow’s world) – s’intitola “I Balcani dell’Eurasia”. Scrivendo per un pubblico statunitense, l’autore spiega che in Europa i termini “Balcani” e “balcanizzato” stanno a indicare un quadro di conflitti etnici e di rivalità regionali tra le maggiori Potenze.

La balcanizzazione euroasiatica

Anche l’Eurasia ha dunque i suoi “Balcani” ma si tratta di aree più vaste, popolate e persino più eterogenee dal punto di vista etnico e religioso, abbracciando porzioni dell’Europa sud-orientale e dell’Asia centrale e porzioni dell’Asia meridionale, del Golfo Persico e del Medioriente. I Balcani euroasiatici richiamano da vicino quelli dell’Europa sud-orientale d’antan. Non sono solo entità politiche instabili ma tentano e attirano l’intrusione di vicini più potenti, ognuno dei quali è determinato a contrastare il dominio regionale degli altri. È proprio questa ben conosciuta combinazione di vuoto di potere e di potere di assorbimento (power vacuum and power suction) che giustifica la denominazione di Balcani euroasiatici.[ii]

I Balcani tradizionali disegnavano una potenziale posta in gioco geopolitica nella corsa alla supremazia europea. Anche i Balcani eurasiatici – scrive nel 1997 Brzezinski (anticipando con rammarico ma profeticamente lo scenario della nuova Via della seta e le conseguenti odierne tensioni che scatena) – a fronte dell’emergente e “inevitabile” network di trasporti (the inevitably emerging transportation network), destinato a mettere in comunicazione in maniera sempre più diretta le estremità orientali con quelle più ricche e produttive dell’occidente, assumono un significato geopolitico di valenza primaria. «In particolare, sono di estrema importanza dal punto di vista della sicurezza e delle ambizioni storiche di almeno tre dei loro più diretti e potenti vicini, Russia, Turchia e Iran, con la Cina che dimostra un crescente interesse politico nei confronti della regione. Ma i Balcani eurasiatici sono infinitamente più importanti come potenziale posta economica: all’interno della regione si cela un’enorme concentrazione di riserve di gas naturale e di petrolio, oltre a quelle di importanti risorse minerarie, oro incluso».[iii]

Il pivot geopolitico del Nagorno Karabakh

Arriviamo così al conflitto in Nagorno-Karabakh che vede fronteggiarsi otto milioni di azeri e quattro milioni di Armeni, i primi musulmani, i secondi cristiani, per il controllo dell’enclave a maggioranza demografica armena. E quindi cristiana. Da cui conflitti etnici e religiosi, da una parte e dall’altra presto trasformati in stragi all’insegna della pulizia etnica e in massicci esodi di rifugiati. Una guerra socialmente ed economicamente devastante che ha sinora impedito a ciascuna delle due parti di consolidare la propria indipendenza dopo il crollo dell’impero sovietico, entrambi gli Stati essendo alla mercé della volubile propensione del Grande fratello russo verso l’uno o l’altra delle due parti, volubilità dettata da interessi primari ma spesso contingenti.

In questa cornice geopolitica, è proprio l’Azerbaijan ad attirare l’assai pericoloso interesse di Brzezinski, dal momento che la sua intrinseca vulnerabilità proietta più ampie implicazioni regionali dato che la sua collocazione geografica lo rende un “geopolitical pivot”.

I “cardini” o “pilastri” geopolitici per Brzezinski sono gli Stati la cui importanza non deriva dallo loro potenza e motivazione quanto e piuttosto dalla loro collocazione strategica e dalle conseguenze derivanti dalle loro condizioni potenzialmente vulnerabili alle azioni dei principali attori (player) geostrategici. Il classico vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro di manzoniana memoria. L’autore del Grand Chessboard ha una maniera piuttosto sinistra ma molto efficace per spiegare l’occhiuto interesse statunitense, e non solo, per la ricca posta in palio azera.

L’interesse USA per l’Azerbaijan

L’Azerbaijan, infatti «può essere definita come il “tappo” di vitale importanza per controllare l’accesso al “fiasco” che contiene le ricchezze del bacino del Mar Caspio e dell’Asia centrale. Un Azerbaijan turcofono e indipendente, con oleodotti che corrono dalla Turchia, etnicamente imparentata e politicamente alleata, impedirebbero alla Russia di esercitare un monopolio di accesso alla regione e priverebbe Mosca di una fondamentale arma di condizionamento nei confronti delle politiche sovrane dei nuovi Stati dell’Asia centrale. Tuttavia oggi [Brzezinski scriveva queste righe nel 1997, n.d.r.] l’Azerbaijan è ancora assai vulnerabile alle pressioni di una Russia molto potente a nord e di quelle dell’Iran a sud».[i]

Ma l’Azerbaijan dispone di un atout potenzialmente esplosivo nei confronti di Teheran dal momento che nell’Iran nord-occidentale vivono circa 20 milioni di azeri, il doppio di quelli all’interno dei confini azeri. Ed è questo che rende il governo della Repubblica islamica iraniana molto guardingo nei confronti di potenziali spinte separatiste tra la sua popolazione azera e per questo “ambivalente”, scrive sin troppo generosamente Brzezinski, nei confronti dello status di piena sovranità dell’Azerbaijan, anche all’interno di una comune dimensione religiosa.

Per questo, riassume il maestro di scacchi statunitense, l’Azerbaijan è entrato nel collimatore delle pressioni congiunte russo-iraniane per limitare al massimo i suoi contatti con l’Occidente.

Lo scontro Occidente vs Oriente

Come si vede l’analisi di Brzezinski sui Balcani euroasiatici chiarisce ma non semplifica il quadro di una situazione che s’ingarbuglia sempre più, mettendo l’un contro l’altro armati il cosiddetto “Occidente” (Stati Uniti, Israele, Unione europea, Ucraina, Azerbaijan) contro gli interessi del cosiddetto “Oriente” (Russia, Iran, Cina e mondo arabo). In questo scenario estremamente complesso e sfumato la Russia gioca un ruolo decisivo di primo piano.

Generalmente si crede che il focus dell’attenzione strategica di Mosca sia focalizzato sul fronte occidentale, cioè sul contenzioso ucraino. In realtà, non meno importante e decisivo per il Cremlino è il confine meridionale che corre lungo la catena montuosa del Caucaso, a sud della quale si trovano Azerbaijan, Armenia, Nagorno-Karabakh e Georgia.

Per aiutare a comprendere l’importanza di quello scacchiere basta una semplice occhiata alla carta geografica. Il Caucaso, collocato tra il Mar Nero, il Mare d’Azov e il Mar Caspio, è un vasto istmo che congiunge l’Europa all’Asia dove la catena montuosa del Caucaso è la trincea di controllo di un’area vitale per la Russia.

La zona a nord-ovest si spinge al Mare di Azov e al confine ucraino nei pressi del Donbass con la Crimea, l’oggetto del contendere dell’operazione speciale di Putin. A nord-est si trova il Volga e la città di Volgograd (l’antica Caricyn anche ex Stalingrado) mentre il territorio a nord delle montagne è completamente piatto, poco più di 800 chilometri da Astrakhan, capoluogo dell’omonima oblast, sino alla Crimea.

Guerra e geopolitica

Da un punto di vista bellico un attacco contro la Russia in partenza dal sud comprometterebbe nell’immediato le sorti della guerra in Ucraina mentre nel lungo periodo metterebbe in pericolo il controllo delle vitali idrovie del Volga e del Don. Di conseguenza la protezione, whatever it takes, del Caucaso da qualsiasi potenziale minaccia ostile è un obiettivo strategico fondamentale della dottrina militare russa. La saturazione del Caucaso settentrionale è dunque importante quanto il controllo del fronte ucraino.

Le guerre in Cecenia e quelle in Georgia, quest’ultima supportata militarmente dagli Stati Uniti, hanno lanciato la figura di leader nazionale di Vladimir Putin e consolidato la dottrina della difesa a oltranza delle frontiere strategiche della Russia. È in questo quadro di situazione che si è evoluta nel tempo la crisi tra Azerbaijan e Armenia in relazione alla regione contesa del Nagorno-Karabakh, una questione dal limitato interesse strategico ma dall’intenso valore politico.

Come abbiamo visto, l’apparente benevola equidistanza della Russia come arbitro super partes, ma sempre con un occhio di riguardo per l’Armenia, ha recentemente esaurito la sua ragion d’essere. Per diverse ragioni.

La polveriera caucasica

Come scrive George Friedman, nell’esplosiva regione del Caucaso hanno fatto il loro ingresso gli Stati Uniti, alla luce della “dottrina Brzezinski” e dei suoi orizzonti di medio e lungo periodo, «dapprima con il sostegno fornito alla Georgia e poi mantenendo una relazione cauta (da entrambe le parti) con l’Azerbaijan ma tenendo un atteggiamento sempre distante dal’Armenia. Un anno fa, invece, è stato eletto un nuovo governo armeno più guardingo nei confronti della Russia. Per cui, durante il conflitto in Ucraina, Washington ha deciso di allacciare più strette relazioni con l’Armenia che si è subito dimostrata disponibile nei confronti della nuova strategia americana come bilanciamento nei confronti dell’Azerbaijan».[ii]

Alla luce di queste nuovi sviluppi, il governo azero ha colto l’occasione, con l’ambivalente acquiescenza, per amore o per forza, di Mosca, e si è ripreso il Nagorno-Karabakh. E questo, secondo l’analisi di Friedman, indica l’emergere di un più alto livello di tensione se non addirittura di conflitto. Il che non appare tranquillizzante, vista la minaccia di un’improvvisa espulsione della polveriera caucasica.

Un gioco politico e diplomatico molto arrischiato. «Gli Stati Uniti intendono conservare spazi di manovra nella regione, minacciando una penetrazione nel Caucaso settentrionale, una carta pericolosa quanto improbabile. D’altro canto, i russi non possono scartare a priori l’idea di una volontà statunitense di agire in maniera pericolosa e improbabile. Washington potrebbe infatti utilizzare una leva supplementare per negoziare con i russi nel conflitto in Ucraina. Sulla carta un’idea eccellente, del tutto folle su piano di realtà».

Un fronte del Caucaso in movimento, con Georgia, Armenia e Azerbaijan destabilizzate rispetto alla pax moscovita imposta dalla Russia per vitali necessità strategiche e quindi non negoziabili, in quanto non si tratta di mosse di disturbo destinate a rendere difficile la vita all’avversario, non possono che avvelenare i pozzi dello status quo regionale e dunque internazionale.

L’Eurasia in fiamme

È in questo ribollente calderone dove si trovano a giocare Siria e Nagorno-Karabakh, Armenia, Georgia, Azerbaijan, Ucraina e Iran, Israele, Turchia, Russia e Stati Uniti, che si trovano le chiavi dell’improvvisa fiammata che ha incendiato il Medioriente…?

È presto per dirlo. Ma di sicuro quanto precede può servire a illustrare efficacemente quanto la trama e l’ordito della geopolitica internazionale, coniugando geografia, storia, economia, religione, demografia e interessi strategici, disegnino una fitta ragnatela di vasi comunicanti, destinati a tracimare l’uno nell’altro, con effetti potenzialmente devastanti, a fronte di ogni significativa rottura di equilibrio.

I leader del pianeta sono consci di questa rete di relazioni, collegamenti e rimandi a tutto campo…? Non resta che sperarlo. Altrimenti le storie e la Storia sfumeranno nell’Apocalisse.

[1] Z. Brzezinski, The Grand Chessboard. American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, New York, 1997, pag.149.

[1] Z. Brzezinski, op. cit., pag. 123-124.

[1] Z. Brzezinski, op. cit., pag. 124.

[1] Z. Brzezinski, op. cit., pag. 129.

[1] G. Friedman, Russia Seals Its Southern Border, Geopolitical Futures, 26 settembre 2023, https://geopoliticalfutures.com/russia-seals-its-southern-border/

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