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L’attentato di Bascapè

60 anni fa l’assassinio di Enrico Mattei - Parte 2

L’attentato di Bascapè

Abbiamo visto come l’attivismo imprenditoriale di Mattei in Medioriente stesse allarmando le “Sette sorelle” del cartello petrolifero internazionale. Ma sappiamo che anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna gli interessi economici assumono valenze geopolitiche e vice versa. In Italia com’era la situazione?

Bisogna partire dal fatto che l’intreccio indissolubile tra gli affari economici, politici e sociali dell’Eni e i progetti di politica estera di Mattei fecero indubbiamente temere agli Stati Uniti che potessero sfociare in una rimessa in discussione dell’alleanza atlantica. E di tutti gli equilibri conseguenti.

Quello che nel concreto più contava era che le posizioni di Mattei all’interno della Democrazia cristiana erano tutt’altro che isolate.

All’interno della cosiddetta “sinistra Dc”, le spinte centrifughe nei confronti di un’alleanza troppo stretta con gli Stati Uniti avevano contribuito, con ricorrenti affioramenti carsici, a manifestare e ad accentuare, sotto forma di riserve, opposizioni e persino plateali astensioni, profondi malesseri e lacerazioni che miravano a compromettere l’appoggio incondizionato della Dc all’alleanza atlantica, giudicata una “politica di asservimento” agli Stati Uniti, nella quale l’Europa rischiava di perdere tutto, a cominciare dalla libertà e dall’indipendenza.

Anche l’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, in un convegno a Pesaro nel 1948, aveva avanzato l’idea di una politica estera “terzaforzista”, proprio per evitare ogni subordinazione alle grandi potenze. Le posizioni neutraliste, condivise da vari esponenti democristiani, all’inizio avevano avuto persino l’appoggio di personalità della Chiesa cattolica, come il cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto della Congregazione del Sant’Uffizio, e monsignor Domenico Tardini della segreteria di Stato. Gronchi, Fanfani e Mattei tenevano vivi quei malumori se non verso l’alleanza occidentale tout court, quanto meno verso una supina acquiescenza agli interessi economici e geopolitici statunitensi.

Da sottolineare che queste posizioni non potevano apparentarsi concretamente a quelle dei “compagni di strada” o degli “utili idioti”, particolare fauna politica che dietro il paravento di un’ingenuità di comodo, si dimostrava più o meno consapevole di aprire la strada all’offensiva imperialista sovietica. Quella di essere “compagni di strada” o “utili idioti” restava però un’accusa ricorrente e volutamente priva di sfumature, fatta propria dalla polemica del “partito atlantico”.

Si trattava in realtà dell’anelito, forse anche poco lucido dato il quadro geopolitico di quegli anni…, verso un’autentica “terza via”, una soluzione audace che cercava ossigeno fuori dalla morsa asfissiante dei due blocchi, senza per questo negare il senso strumentale di un’alleanza, anche militare, che impedisse il rinnovarsi in Italia di una catastrofe sul modello di un nuovo “colpo di Praga”, appoggiato dal più forte partito comunista dell’intero mondo occidentale, una formazione di stretta osservanza stalinista sulle tracce della parabola politica e umana del segretario del Pci Palmiro Togliatti.

Tuttavia i “terzaforzisti” democristiani della corrente “neoatlantista” non per questo intendevano allargare l’apertura di credito al blocco occidentale oltre i limiti meramente strumentali dettati dalle contingenze storiche del momento.

Erano gli unici, a parte i nostalgici della prima ora scampati al naufragio bellico e di cui raccoglievano una ben mimetizzata quanto imbarazzante eredità, a difendere a 360 gradi ed erga omnes gli interessi nazionali. Fuori da interessi di bottega ben retribuiti in dollari o rubli, prebende, incarichi di governo o di sottogoverno e seggi parlamentari.

Che cosa intendeva Mattei per una politica “neoatlantista” o “terzaforzista”?

Un mese esatto prima della sua morte, il 27 settembre 1962, Mattei avrebbe riassunto queste posizioni autenticamente “rivoluzionarie”, in quanto equidistanti da capitalismo e comunismo, in un’intervista rilasciata all’Indipendent Television News Limited, un’emittente televisiva britannica.

Al giornalista che gli chiedeva: «Lei si definirebbe un socialista?», Mattei rispondeva, con straordinaria lucidità anticipatrice: «Credo che in questo mondo, così complesso, gli uomini e le loro idee non possono essere classificati secondo etichette ideologiche coniate in altri tempi. Per quanto mi riguarda posso dirle quello che penso e quello che faccio. Tiri lei le conclusioni. Io sono per un’Italia più prospera, con un reddito più elevato in complesso e per abitante, meglio distribuito tra le classi sociali e le regioni del paese; credo nella funzione dello Stato in tutte le forme per raggiungere questi obiettivi; lavoro per dare all’Italia fonti di energia a buon mercato, condizione fondamentale dello sviluppo economico, e per procurare direttamente la fonte principale, il petrolio, senza dover dipendere da intermediari che godono di posizioni di oligopolio e che le fanno pesare sui consumatori; credo nella pace internazionale e nella necessità a tal fine di sempre più ampi rapporti economici fra tutti gli Stati, e nella necessità che i paesi industrializzati cooperino su un piano di assoluta parità allo sviluppo dei paesi economicamente meno progrediti».

Per questo Mattei non si fa scrupoli a cercare partnership fuori dalle colonne d’Ercole del blocco occidentale. Non esita a porre la barra del timone in direzione dell’Unione Sovietica, dell’universo socialista e anche oltre, spingendosi sino alla Cina, in America Latina, in Africa.

Tramite Giorgio La Pira, il “sindaco santo” di Firenze e suo imprevedibile buon amico, aprirà contatti diretti con Mohammed V, il re del Marocco, da poco indipendente dalla Francia.

Nel 1958 stipula con il sovrano marocchino un accordo articolato che prevede una concessione nel bacino sahariano, in un’area desertica tra Algeria e Marocco appetita da molte compagnie internazionali, un appalto per la costruzione di una grande raffineria a Mohammedia, una rete di distribuzione dell’Agip nel paese ospitando, nell’ottica di un reciproco scambio, un’infornata di giovani marocchini alla Scuola di studi superiori sugli idrocarburi, appena creata a Metanopoli per formare tecnici petroliferi dei paesi produttori. Un benefit geniale quanto apprezzato, utile per creare e consolidare un non effimero clima di fiducia e di partnership.

Sarà poi la volta del moderato e filoccidentale re Hussein di Giordania ad accogliere calorosamente il presidente dell’Eni raggiungendo un accordo per la costruzione di una raffineria nei pressi di Amman, a una cinquantina di chilometri dalla capitale. Come il sovrano del Marocco, e a differenza di quello della Libia, vuol dare un segnale non ambiguo di indipendenza economica ai suoi “amici” di Londra e Washington.

L’Eni presenta un’offerta al ribasso che gli permette di battere la concorrenza congiunta statunitense e anglo-olandese. Mattei ottiene l’appalto in perdita e per questo viene accusato dalle major, da sempre abituate a turbare aste e mercati con pressioni d’ogni genere sui governi, di non stare alle regole del gioco, di gettare denaro pubblico dalla finestra e di non saper costruire raffinerie…

Mattei non è stolto: se accetta un lavoro in perdita lo fa per trovare una porta aperta, per guadagnare spazio, immagine, fiducia, per testimoniare agli occhi del mondo il valore e le capacità dei tecnici dell’Eni. Con il lavoro in perdita per la raffineria della Giordania, apre una strada che porta lontano, prospettando anni di cooperazione e di commesse in tanti paesi del mondo.

Il lavoro di Amman è un investimento promozionale per dimostrare a tutti quanto vale il know how italiano. Un’altra scommessa vinta. Il contratto da otto miliardi di lire fu firmato nell’ottobre 1958. In Italia e fuori non mancò chi disse che si trattava di un pessimo affare. L’Eni, inseguendo le manie di grandezza del suo presidente, avrebbe perso un pozzo di soldi.

In realtà, quella in Giordania era la prima uscita in campo internazionale, la prima prova del fuoco della Snam Progetti che avrebbe da quel giorno costruito metanodotti, raffinerie e reti di distribuzione in Pakistan, India, Argentina, Brasile, Arabia Saudita, Svizzera, Polonia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Romania, Cecoslovacchia, Manciuria, Grecia, Bulgaria, Libia.

(…)

Insomma, pare di capire che all’immediata vigilia dell’assassinio di Mattei si fossero addensate le condizioni per una “tempesta perfetta” contro il fondatore dell’Eni.

Guerra fredda, tensioni mediorientali, forniture di greggio sovietico, futuro europeo della formula pilota italiana del centrosinistra, pervicace inserimento (sotto traccia o meno) in zone nevralgiche ed esplosive dello scacchiere internazionale, possibilità di trasformare il veleno in farmaco, erano tutti validissimi argomenti che potevano concretamente spingere l’amministrazione Kennedy a trovare con Mattei un accordo più che ragionevole ed estremamente proficuo per gli interessi e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Definendo il perimetro di una quasi inossidabile concordanza di egoismi.

Per di più tra i due, JFK e Mattei, fatte le debite proporzioni, molti erano i punti di contatto. Come scrisse Italia Pietra, se fosse lecito accostare le cose piccole alle cose grandi, e un “commesso dello Stato” a uno statista, si potrebbe dire che il destino di Mattei assomiglia un po’ a quello di Kennedy dopo l’accesso alla Casa bianca.

In comune il desiderio di cose nuove, con il centrosinistra che corrisponde alla Nuova frontiera. Ci sono le lunghe battaglie contro la Confindustria, che fanno riscontro alle prove sostenute da Kennedy contro la burocrazia statunitense e delle grandi compagnie. Quella che oggi chiameremmo il Deep State… C’è un approccio comune sulla gestione dei problemi del Terzo mondo. C’è il nucleo fondamentale della Cia che non può vedere Mattei e che non ama il primo presidente cattolico degli Stati Uniti. Ci saranno fitti e inquietanti misteri, a vario titolo, sulla fine dell’uno e dell’altro.

 

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8 Commenti

  1. Gianluca Favro

    Ciò che deve sopravvivere ancora oggi all’esplosione dell’aereo, è la visione di Mattei: lo Stato con un ruolo attivo nei settori cruciali dell’industria strategica per il benessere e la sovranità nazionale, l’energia come elemento primario di indipendenza e identità. Se queste idee fondative non fossero state dissolte dagli anni dell’ordoliberalismo finanziario, oggi l’Italia avrebbe un’altra storia e un diverso destino

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  2. Decimo Alcatraz

    All’inizio di questa seconda parte si può trovare un link – L’attentato di Bascapè – che permette di accedere ad un pdf scaricabile con l’intera intervista a Gianfranco Peroncini: una sintesi del libro, che ha il merito di aprire la visione, che i due volumi “Veni, Vidi, ENI” ricompongono in maniera mirabile

    https://store.byoblu.com/prodotto/veni-vidi-eni/

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  3. Anonimo

    Un ottimo primo libro. Comprerò’ anche il secondo. La Storia con la S Maiuscola …non quella che ci propinano. Un libro scientifico …non romanzato e inventato….così’ si dovrebbe affrontare la Storia

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    • Decimo Alcatraz

      Questo e’ già il secondo, sempre per i tipi di Byoblu. Il primo e’ “Veni, Vidi, ENI. La lunga marcia dall’Agip all’Eni”: un grande ritratto del contesto italiano a inizio anni ‘60, dopo soli 15 anni dalla fine della grande guerra. In quella realtà si colloca la figura di Mattei e di creano i presupposti per il suo omicidio

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  4. Mauro melchionda

    Una storia non ancora chiara ed è giusto chiarirla definitivamente!

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  5. Anonimo

    Fondamentale capire il passato per capire il presente

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  6. wlf

    Noi italioti siamo fenomenali
    Quando abbiamo un’aquila cosa facciamo??? la ammazziamo.
    Così facendo sembriamo tante aquile, quando
    invece siamo polli. (leggi anche Serafino Ferruzzi e Raul Gardini)

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  7. mauro melchionda

    Serafino Ferruzzi e Raul Gradini due personaggi con luci e ombre che dovrebbero essere studiati e capiti

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