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La disfida dei narcisi

La sfida

Con grande clamore mediatico due degli uomini più ricchi al mondo, Elon Musk e Mark Zuckerberg si sono sfidati in un incontro di arti marziali miste. Hanno scelto l’anfiteatro Flavio, uno dei monumenti più famosi al mondo, il Colosseo romano, per l’improbabile combattimento, non una gabbia a Las Vegas, ma il simbolo di una civiltà.

Entrambi arricchiti velocemente con la rivoluzione digitale, credono di potersi permettere qualsiasi capriccio non in virtù delle doti atletiche, ma di una ricchezza smisurata. E’ difficile che l’evento abbia luogo e se mai lo avrà non si svolgerà secondo le regole canoniche delle arti marziali, semmai sarà solamente un’esibizione dai giganteschi interessi economici.

La nobile motivazione è la raccolta di fondi a fini benefici per degli ospedali pediatrici italiani, secondo altre fonti per non meglio specificati veterani di guerra, forse i centurioni dell’Impero Romano. Per la sottocultura statunitense l’Italia ed il suo patrimonio monumentale sono un parco giochi per ricchi annoiati che si possono permettere l’affitto dell’impianto sportivo. Ad oggi non è dato sapere le motivazioni della sfida: decidere chi è il più ricco del reame, una fidanzata contesa, regolare vecchi conti in sospeso tra tecnocrati.

Il combattimento

L’abitudine di vivere la realtà virtuale, di per sé già un ossimoro, fa dimenticare ai due allegri plutocrati che il combattimento è un gesto sacrale, in quanto comporta dolore e fatica, paura e sofferenza. Un sacrificium, atto sacro, la lotta contro i propri limiti incarnati nella persona dell’avversario, il concetto tradizionale di Grande Guerra Santa. Un principio eterno che non si compra con il grande capitale accumulato con l’ipnosi collettiva dei social network.

Questa sfida virtuale, quanto le attività dei due pseudo combattenti, denuncia il vero aspetto dell’anima mercantile di chi pensa di acquistare tutto con i soldi. In realtà gli sfidanti non potranno mai avere con i loro dollari la dignità ed il coraggio di veri lottatori, che il match si faccia o no. Nella società dell’apparire è più efficace la notizia dell’avvenimento stesso, annunciare qualsiasi evento al di là della sua effettiva realizzazione rende visibili.

La patologia della spettacolarizzazione

Guy Debord nel lontano 1967 aveva descritto la società delle immagini come una mistificazione della realtà, esigenza di produzione del capitalismo, dove lo spettacolo è “l’inversione della vita”. Secondo il filosofo marxista lo spettacolo è il mezzo ed il fine della produzione, di fatto prende il posto della realtà e come ogni artificio genera alienazione – aggiungiamo noi che abbiamo una visione ben lontana dall’economicismo marxista.

Sostituire la realtà con una sua rappresentazione è segno di disturbo narcisistico di personalità, patologia figlia del vuoto spirituale che spinge a recitare una parte per dare senso alla vita. Giocare ai gladiatori senza conoscere il pathos della lotta, la vittoria sullo spirito di conservazione e sulla paura che deve affrontare un vero combattente.

La mentalità del profitto come fine ultimo dell’esistenza nasconde nella pulsione all’accumulo il desiderio di immortalità, il superamento della paura della morte tramite l’accrescimento del capitale. Nella società nutritiva il denaro non è mezzo di scambio, ma definisce in modo patologico l’identità: non si vale per ciò che si è, ma per ciò che si ha.

Il narcisismo social(e)

La grande visibilità mediatica dell’ipotetico match di arti marziali miste tra Zukerberg e Musk, non è un vero avvenimento sportivo, quello che nell’accezione sacra dello sport si chiamava Athlon, ovvero prova. La differenza di età, di peso, di esperienza, rendono assai poco credibile il combattimento, che anche se si compirà realmente potrà avere al massimo la dignità di uno spettacolo di wrestling.

Il narcisismo si nutre di queste finzioni, la spettacolarizzazione non ha una funzione esclusivamente economica, ma costruisce il personaggio fantastico che vuole essere ammirato e posto al centro dell’attenzione. Tutto quanto fa spettacolo riempie il vuoto esistenziale, si fotografa tutto il possibile, dal cibo alle relazioni sentimentali, per renderlo pubblico nelle reti sociali, moderne fabbriche di miti demenziali.

Due plutocrati, che hanno tutto ciò che si può desiderare con la sovraesposizione mediatica, placano il bisogno narcisistico di apparire, di esserci veramente oltre ai beni materiali. Non c’è lo spirito eroico che possiamo ancora trovare nelle palestre puzzolenti di sudore, sui ring sporchi di sangue e non nell’esibizione di chi ha tutto e teme di scomparire nel nulla. La morte distacca dai patrimoni che non si portano nella tomba, ma non il valore che passa all’eternità.

Questa volta non vince il migliore, vince il più ricco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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