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Il piano Pouget: l’ultima eresia del XX secolo

 Algeri, 13 maggio 1958: il «piano Pouget» e il colpo di Stato della democrazia è il seguito logico e cronologico del primo dei sei volumi dedicati alla storia della guerra d’Algeria (1954-1962), quello dedicato alla “battaglia di Algeri”, intitolato Dalle piste dIndocina alla battaglia di Algeri, da cui il lettore deve partire per comprendere bene ragioni e radici di quanto rivelato in questo secondo saggio dedicato al cosiddetto “piano Pouget”.

Il “piano Pouget” – ovvero pensare l’inosabile… – è l’ultima “Grande eresia” del XX secolo e prende il nome dal maggiore dei paras – al quale Jean Lartéguy dedicò il best seller dal titolo Les Centurions (I centurioni nell’edizione italiana) che lo propose concretamente sul piano storico.

Il “piano Pouget” rappresenta il momento culminante di un processo che attraversa tutte le fasi della guerra d’Algeria vale a dire l’incontro, esistenziale prima, politico poi, tra le parti più direttamente coinvolte nel conflitto, i paras e i fellagha del Front de libération nationale.

Questo lento comprendersi attraverso un doloroso e complesso processo di disvelamento e rivelazione costituisce un aspetto ancora per molta parte inesplorato ma è un sicuro e decisivo “filo rosso” che cuce insieme i lunghi anni del conflitto algerino. Con un paziente e attento lavoro d’indagine è infatti possibile rintracciare nei testi, nei documenti, nelle testimonianze e nelle cronache di quegli anni le tappe successive di questa stupefacente alternativa.

Tutto era nato lungo le piste d’Indocina e nei campi di prigionia viet-minh dove gli ufficiali francesi avevano avuto modo di riflettere amaramente sulle cause sociali e politiche di quelle guerre che erano conosciute come “coloniali” ma che più precisamente dovrebbero essere definite “rivoluzionarie”.

Dall’Estremo Oriente al territorio algerino la strada era stata lunga, e non solo in senso geografico. Dopo la sconfitta di Dien Bien Phu nel maggio 1954 e la perdita dell’Indocina i militari francesi che si trovarono a combattere in Algeria non volevano essere soltanto il braccio armato della repressione di una rivolta che anche uomini come Mitterrand consideravano assolutamente ingiustificata. Volevano “capire”. E capire significava accettare e confrontarsi con la dialettica imposta dall’Fln grazie all’insurrezione del 1° novembre 1954.

Tra i reparti operativi francesi nacque allora un sentimento di simpatia – nel senso etimologico del termine: “soffrire insieme” – proprio nei confronti di quell’avversario che erano stati mandati a combattere e distruggere.

Prima fu il rispetto per un nemico duro, tenace e valoroso che condivideva con loro i sacrifici e rischi di una causa in cui credeva e per cui era disposto a sacrificare la vita e la libertà. L’Armée cominciò così a considerare in maniera diversa il combattente dell’Fln, in cui essi ritrovavano la stesse fede militante di altri combattenti dell’Asia sud-orientale. E il loro stesso volto. La simpatia di cui sopra appariva infatti inevitabile, dal momento che le durissime regole della guerra venivano vissute da entrambi in uno stato particolare di simbiosi che portò gli elementi militari di entrambe le parti a considerarsi con un’attenzione diversa. Lentamente, in un’omologia forse già “fatale”, il semplice riconoscimento del valore reciproco cominciò a precisarsi, a definirsi meglio, sino ad assumere connotati anche necessariamente politici.

Al centro di quelle vicende drammatiche e complesse, oltre le giornate della “battaglia d’Algeri”, nel cuore stesso della rivolta civile e militare del 13 maggio 1958 ad Algeri che in Francia avrebbe condotto al passaggio dalla IV alla V Repubblica , si trova l’architettura del “piano Pouget”. Solo pochi mesi dopo la fine della discesa agli inferi della “battaglia d’Algeri”, nell’incandescente crogiolo creatosi all’indomani del 13 maggio 1958 e, soprattutto, nel clima prodottosi il 16 maggio con l’incredibile fraternizzazione delle masse europee e arabe sulla piazza del Forum della Ville Blanche, un gruppo di ufficiali paras anciens d’Indo, cioè veterani e reduci dell’Indocina, pensò che fosse possibile costruire la nouvelle Algérie grazie al concorso determinante delle forze più guerriere e militanti dell’Fln…

Il piano prevedeva la liberazione di Yacef Saadi, allora detenuto ad Algeri e condannato a morte per reati di terrorismo quale responsabile della Zone autonome dAlger dell’Fln al tempo della “battaglia d’Algeri”, un suo appello alle forze armate del Front de libération nationale per un cessate il fuoco e l’integrazione di alcuni dirigenti dell’organizzazione clandestina ribelle nel Comitato di salute pubblica creato il 13 maggio. Tutto garantito e legittimato dall’esercito francese. Un disegno organico per porre fine, nella gioia, alla guerra d’Algeria e che aveva dietro di sé il passo di due divisioni di paracadutisti. Il “destino” e il generale de Gaulle vollero diversamente…

Il senso intimo e profondo del “piano Pouget” rappresenta il momento culminante di un processo che attraversa tutte le fasi della guerra d’Algeria vale a dire l’incontro, esistenziale prima, politico poi, tra le parti più direttamente coinvolte nel conflitto, i paras e fellagha del Front de libération nationale. Questo lento comprendersi attraverso un doloroso e complesso processo di disvelamento e rivelazione costituisce un fiume carsico che attraversa tutti i lunghi anni del conflitto.

Il “piano Pouget” disegna anche una cerniera storico-politica ideale che collega la prima e l’ultima fase della drammatica crisi algerina: la mécanique dell’orrore della “battaglia di Algeri”; il malaise dell’esercito; il mito dei paras; la rivolta e i complotti del 13 maggio; il passaggio dalla IV alla V Repubblica; i retroscena dell’attentato a colpi di bazooka contro il generale Salan, tenebroso crimine che farà tremare la IV e la V Repubblica; la “settimana delle barricate”; l’affaire Si Salah; la rivolta delle legioni di Algeri; l’Oas, il definitivo délestage dell’Algeria da parte di de Gaulle; l’esodo forzato di un milione di pied-noir e il massacro degli harkis

La ricostruzione completa del conflitto franco-algerino intitolata complessivamente La maledizione dei centurioni – spiega l’autore – si articola su due cifre espressive, due registri narrativi impiegati, da una parte, per la descrizione dei fatti storici realizzatisi nel concreto sul piano storico e, dall’altra, nell’analisi di quegli stessi avvenimenti, all’interno di una catena di rimandi culturali che si giustificano e integrano a vicenda. Una triade di opposizione ­– Algeria francese, Algeria algerina, Algeria fraterna – che possiamo ordinare in un ternario sillogistico dove tesi e antitesi, Algeria francese o Algeria algerina, venivano battute in breccia da una sintesi suprema e ideale: l’Algeria fraterna e guerriera.

Da un altro punto di vista, meno “aristotelico”, i tre elementi si possono ristrutturare gerarchicamente in una dinamica di complementari, logici e cronologici, che nel passaggio da un’Algeria francese a un’Algeria fraterna intendevano giungere a una sintesi sinergica tra ciascuno dei tre elementi costitutivi del ternario. Arrivando così a un’Algeria algerina, guerriera e… fraterna.

Come ricordato nel primo volume della Maledizione dei centurioni le vicende della guerra d’Algeria sono drammaticamente tornate d’attualità con “l’affaire Aussaresses. Le terribili memorie-verità di un alto ufficiale francese hanno scoperchiato i bassifondi dell’ultimo grande tabù del passato coloniale francese. I vecchi demoni di una storia tormentata, complessa e drammatica come le vicende della guerra d’Algeria sono stati rimessi in circolazione dalle dichiarazioni dell’82enne ex generale di brigata Paul Aussaresses.

La questione della tortura, alla luce anche dei più recenti attentati alle Torri gemelle di New York e tutti gli effetti collaterali a cascata che ne sono derivati; il coinvolgimento di un uomo come Mitterand, stritolato suo malgrado nella mécanique dell’orrore di quei giorni difficili e drammatici; il malaise dell’esercito, rintracciato a partire dagli anni ‘30, dallo scandalo Staviski alle giornate del 6 febbraio 1934 sino alle cospirazioni cagoulard; il mito eroico e inquietante dei paras; il rinnegarsi della gauche francese; la rivolta e i complotti del 13 maggio; la trasformazione dalla IV alla V Repubblica; i retroscena dell’attentato a colpi di bazooka contro il generale Salan, un affaire che farà tremare dalle fondamenta il parlamento della IV Repubblica. E infine, il “piano Pouget”…

Aussaresses, una lunga carriera nei servizi segreti francesi, ha ammesso di avere preso parte personalmente a sedute di tortura praticate nei confronti di sospetti terroristi dell’Fln e di avere organizzato numerose esecuzioni sommarie, prima e durante la cosiddetta “battaglia d’Algeri”. L’aspetto per certi versi più sconvolgente delle rivelazioni di Aussaresses riguarda il coinvolgimento diretto di François Mitterand, allora ministro della Giustizia del governo presieduto dal leader socialista Guy Mollet, il più lungo dell’affannata e affannosa avventura della IV Repubblica. Nei giorni della battaglia d’Algeri, Mitterand aveva affiancato al vertice militare che organizzava le azioni condotte contro la struttura terrorista dell’Fln un emissario di sua fiducia, il giudice Jean Bérard, al quale niente era ignoto delle procedure adottate per stroncare il terrorismo e che riferiva direttamente al ministro.

Il generale Aussaresses si troverà coinvolto nel centro focale dell’azione al tempo della battaglia d’Algeri e nelle sue memorie ammetterà tutte le responsabilità che gli competono, svelando agghiaccianti retroscena dei più misteriosi affaire di quell’epoca drammatica, come i “suicidi” di Ben M’Hidi e dell’avvocato Ali Boumendjel, mostrandosi reticente solo a proposito della “scomparsa” di Maurice Audin, per motivi ancora ignoti. Furono, quelli, scandali che fecero epoca, coinvolgendo tutte le strutture politiche e militari francesi e che ancora oggi mobilitano emozioni e risentimenti contrastanti.

Giorni terribili, vissuti da entrambe le parti con angoscia e tormento, nell’alternarsi ciclico e implacabile tra attentati ed esecuzioni sommarie, un’opera al nero che vide il suo riscatto nell’ipotesi rivoluzionaria che abbiamo descritto.

Come detto, il “piano Pouget” prende il nome dal maggiore dei paracadutisti che lo propose concretamente e al quale Jean Lartéguy dedicò il suo best e long seller dal titolo Les Centurions. Pubblicato nel 1959, quel “romanzo” mescolava ricordi, riflessioni ed esperienze personali di vent’anni di guerre vinte o perse, quelle che Lartéguy aveva combattuto da ufficiale e quelle che aveva seguito come corrispondente. «Mi nacque sotto la penna», avrebbe poi ricordato, «un libro che non mi aspettavo: il ritratto di un nuovo tipo di soldato che non aveva alcun punto in comune con il militare tradizionale».

Quei reduci d’Indocina non potevano impedirsi di sognare un nuovo ordine più giusto, più rigoroso, e un nuovo esercito meglio adatto all’epoca contemporanea, capace di vincere una guerra rivoluzionaria. Ma ciò implicava che questo esercito fosse in grado di realizzare, alla sua maniera, una rivoluzione.

Nello stesso tempo quegli uomini – e questa si dimostrò la loro contraddizione fondamentale – rifiutavano questa rivoluzione, in nome del loro passato e delle loro tradizioni, perché credevano che si potesse preservare ciò che c’era di buono nella civiltà occidentale, la libertà, soprattutto. Non potevano accettare la semplificazione marxista del mondo, il suo manicheismo, il suo catechismo. I viets, per avere voluto troppo convertirli, li avevano vaccinati per sempre contro il comunismo. Ma ora non sapevamo più da che parte stavano.

Ed eccoli in Algeria, coinvolti di nuovo in una guerra di liberazione. L’esercito tradizionale aveva fallito. Non poteva essere altrimenti dal momento che non faceva altro che ripetere, di continuo, il copione della conquista del Rif e della caccia alle tribù dell’emiro Abd el-Kader… Loro invece volevano fare la guerra dell’avversario, per vincere, e vi si sporcarono mani e coscienze. Perché era venuto il tempo in cui non sarebbero più esistite guerre pulite. Difendevano Roma, lontano da Roma, mentre a Roma li coprivano di fango. Al punto di sentirsi più vicini a coloro che combattevano rispetto a quelli per cui morivano. Questo fu il tema di Les Centurions, conclude Lartéguy.

E questo è anche il tema, l’asse portante, della Maledizione dei centurioni e di Algeri, 13 maggio 1958: il «piano Pouget» e il colpo di Stato della democrazia. Un libro di storia che si legge tutto d’un fiato, come un romanzo.

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1 commento

  1. Decimo Alcatraz

    Dialogare con Gianfranco Peroncini e prima ancora leggere i suoi due testi mi ha permesso di allargare la visuale. Non solo di apprendere fatti della recente storia. E’ questo il senso più profondo dell’analisi storica: attualizzarsi nella lettura

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