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Fine emergenza mai: libertà, potere e contraddizioni della nostra epoca

La teoria e la pratica dell’emergenza

Basta aprire un quotidiano oppure ascoltare un telegiornale per rendersi conto che quello che ci viene proposto come “il migliore dei mondi possibile” è, in realtà, un tempo scandito tra un susseguirsi di “emergenze”.Le società occidentali, che si vantano del progresso dei loro apparati scientifici, mostrano più dubbi che risposte, più vulnerabilità che punti di forza: non c’è ambito (politico, economico, sociale, naturale-ambientale, sanitario) che non riservi insidie. Sotto il paradigma “dirittoumanista” crescono individui sempre più timorosi e capricciosi, incapaci di affrontare didatticamente, razionalmente e costruttivamente gli eventi critici.

Queste dinamiche sono affrontate in modo cristallino e organico da Andrea Venanzoni nel saggio breve “La tirannia dell’emergenza” (Liberilibri, Macerata, 2023).

La tirannia dell’emergenza

L’Autore sottolinea che il vizio di fondo è il terrore per lo spettro della morte (intesa come privazione massima di ogni utilità), di cui è intriso ogni discorso pubblico: «Ora come attentato, ora come siccità o mari inquinati o specie in via di estinzione, ora come criminalità organizzata o traffico di sostanze stupefacenti: a getto continuo, giornali, televisioni, siti internet ci riversano addosso la corrente del dolore, della sofferenza, del rischio della morte appunto. Un canto spezzato intriso di disperazione e di desolazione».

Il pericolo è l’unica costante e l’unico elemento unificatore di una società atomizzata, frenetica e pornografica; non partecipare emotivamente al mantra emergenziale significa essere considerati “agenti patogeni sociali”, “angeli della morte”, come la recente pandemia Covid-19 ha evidenziato.

Il nuovo oscurantismo

Chi ironizza sul Medioevo come era bigotta e superstiziosa può, allo stesso tempo, non riuscire a realizzare che il meccanismo di “riproduzione emergenziale” astrae dai fatti in sé considerati per ripresentare schemi di peccato ed espiazione, seppure filtrati dal mito scientista. «L’emergenza, nella sua essenza più pura e autoritaria, è esattamente questo: promessa di redenzione, di salvazione e di guarigione», osserva Venanzoni.

Ma questa promessa ha un prezzo: la progressiva compressione della libertà, collettiva e individuale. Strumenti “emergenziali” di polizia, giustificati sull’onda emotiva del momento, finiscono per essere introiettati dai singoli e invocati in modo sempre più ampio e decontestualizzato, ribaltando il rapporto tra regola ed eccezione. Spiega ancora Venanzoni: «la danza macabra dell’emergenza diventa funzionale per disinnescare le voci seriamente critiche: la morte-soggetto stagliata lungo l’orizzonte della crisi si rende fattore incriticabile, su cui ogni dibattito è per fisiologia impossibile e inconcepibile. Sorta di ricatto morale che fa pendere la metaforica bilancia del contemperamento sempre a favore dell’autorità, e mai della libertà, perché in caso contrario vincerebbero i terroristi, l’inquinamento globale, il virus».

La fobia del rischio

In ciò stupisce la cecità e il doppiopesismo delle società occidentali nella comparazione tra esperimenti autoritari del passato e analisi del presente: anche la ripetizione didascalica delle versioni storiche “accettate”, quando allo stesso tempo si reclama e si acclama il pugno duro dei regimi democratici odierni in nome dell’“emergenza” (effettiva o presunta), è indice di analfabetismo funzionale.

Eppure, la fobia del rischio – non più fattore da ponderare e gestire, ma da prevenire e possibilmente azzerare – castra la nostra civiltà, la priva del motore essenziale per il (vero) progresso e per la creatività umana, cioè il gusto per la sfida. La reazione al pericolo “immanente” è offerta da una superfetazione normativa e burocratica che, paradossalmente, in nome della tutela della libertà, restringe sempre più la sfera d’azione.

Scrive in proposito Venanzoni: «La massima precauzione che abbiamo sentito a più riprese evocare diventa lo spartiacque della definitiva torsione dell’ordinamento: non più proporzionalità delle misure, non più ragionevolezza né bilanciamento tra diritti tutti parimenti importanti, ma trionfo tiranno di un unico assetto, quello precauzionale dettato dalla narrazione scientifica e da quella burocratica».

La tecnocrazia del controllo

In tal modo, la ricerca della sicurezza, dell’immunità “a ogni costo” spalanca le porte delle gabbie suadenti della tecnocrazia, «un sistema dispotico in cui ogni singolo aspetto della vita individuale e della vita sociale è controllato, indirizzato e plasmato», in modo meccanico e algido.

In conclusione, “La tirannia dell’emergenza” appare una lettura quanto mai necessaria per raffinare la capacità critica e per evitare di infilarsi nei vicoli ciechi, senza possibilità di retromarcia, delle “precauzioni” accomodanti.

 

 

 

 

 

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1 commento

  1. Anonimo

    Molto interessante!

    Rispondi

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