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Fanfani e il sovranismo cattolico

  • Gianfranco Peroncini, Lei è autore del libro Il pane quotidiano. Fanfani e il sovranismo cattolico, pubblicato dalle Edizioni La Vela: cosa ha rappresentato, per la storia dellItalia repubblicana, la figura di Amintore Fanfani?

Dobbiamo partire da lontano. I fenomeni sociali contemporanei sono il portato progressivo e inesorabile di un progetto che intende scardinare i nessi organici tra lo Stato e la società – fede, tradizioni, storia, identità, famiglia, cultura, lingua, educazione – per lasciare libero corso alla filosofia liberal-liberista, più consona agli obiettivi e ai desiderata delle aristocrazie venali contemporanee.

Su entrambi i versanti ormai irriducibili in cui si è fratturata la cristianità – quello religioso e quello civile – si assiste a una sovversione apparentemente ineluttabile ed etimologica delle finalità loro proprie, ovvero il benessere spirituale e materiale della società.

Da questa ottica, esaminare più da vicino la cosiddetta prima Repubblica, alla quale mise fine il crollo repentino delle condizioni geopolitiche che ne avevano consentito la nascita e imposto la conservazione, significa anche interrogarsi sul ruolo e le prospettive del paese e dei principali protagonisti di quel recente passato.

In questa chiave, la figura di Amintore Fanfani (1908-1999) è il riassunto di una complessità forse troppo ostica per la dentatura intellettuale dei contemporanei, abituati a cullarsi in confortevoli, grossolani e infantili manicheismi ideologici.

Come dimostra anche il fatto, per lo più ignorato, che il suo fondamentale studio dal titolo Cattolicesimo e Protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, pubblicato per la prima volta nel 1934, fece conoscere Fanfani anche al mondo dei cattolici statunitensi, tanto che alla Convention democratica del 1956 a Chicago l’allora senatore John F. Kennedy segnalò alla platea l’autore, presente in aula, attestando pubblicamente l’influenza dell’opera dello statista di Pieve Santo Stefano come una delle ragioni della sua discesa in campo nell’ambito politico.

Riassumere in una sintesi accettabile l’esperienza culturale e politica di un personaggio articolato e complesso come Fanfani è impresa tutt’altro che facile.

Come premessa, è parso decisivo coniugare il suo percorso spirituale, culturale e politico con il focus della Guerra fredda, chiave di volta della prima Repubblica nella quale la trama e l’ordito della sua personale traccia esistenziale e storica si sono intrecciati strettamente.

Si è dunque inteso proporre una prospettiva non meramente sociologica al fine di un’analisi che mette al centro della questione la dottrina del movimento sociale cattolico, senza scindere laicamente l’aspetto religioso da quello civile bensì coniugandoli, senza confusione, nel rapporto gerarchico che ontologicamente li riguarda.

Senza voler scriverne un santino. Come tutti i politici, in particolare i cosiddetti “cavalli di razza” della Dc, Fanfani non fu esente da ambiguità, astuzie, connivenze, trame e quant’altro. Ma, come del resto Enrico Mattei, in lui prevalse sempre l’obiettivo di un bene più grande, giusto o sbagliato che fosse, al di là del suo arricchimento personale.

In radicale controtendenza rispetto alle miserie dei tempi ultimi, Fanfani seppe sempre dimostrare la differenza tra miserabile e povero, tra ricco e signore.

  • Come si articolò il percorso culturale e spirituale di questo cavallo di razza” democristiano?

Il passaggio dal professore all’onorevole fu innescato dall’amico e compagno di studi alla Cattolica Giuseppe Dossetti (1913-1996), che nel 1945 lo invita a dirigere il settore propagandistico e culturale della neonata Democrazia cristiana. Da quel momento il suo destino è segnato.

Membro tra i più influenti e determinati dell’Assemblea costituente, Fanfani è stato deputato o senatore in tutte le legislature repubblicane, fino alla carica di senatore a vita nel 1972. Segretario della Democrazia cristiana negli anni ‘50 e ‘70, sei volte presidente del Consiglio, ministro del Lavoro, dell’Agricoltura, degli Interni, degli Esteri e del Bilancio, per quattordici anni presidente del Senato, nonché unico italiano a ricoprire, dall’1 gennaio 1965 al 31 dicembre dello stesso anno, la carica di presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, è stato uno dei principali protagonisti della vita politica italiana. Al di là degli schemi ideologici imposti dal Great game planetario Tra Washington e Mosca.

La critica socialista alla potenza capital-liberista è stata senza dubbio efficace, nota Fanfani. Essa, tuttavia, si è mossa sullo stesso piano dei valori materiali. È solo, infatti, alla stregua di una concezione spirituale della vita che la forza del denaro può essere combattuta e superata alla radice.

E questo s’inserisce nella dinamica storica degli anni ’30. Allora Fanfani era perfettamente inserito nella corrente cattolica sostenuta da padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica. Tale corrente intendeva influenzare gli sviluppi del vigente regime fascista per ricondurlo su un terreno comune definito dai capisaldi della dottrina sociale della Chiesa.

La diminuzione della fede, afferma Fanfani, è la circostanza storico-sociale che spiega l’affermarsi dello spirito capitalistico in un mondo cattolico, ma in un certo senso è anche l’affermarsi dello spirito capitalistico che produce una riduzione della fede.

L’affievolirsi della fede annacqua i rimorsi, non permette più confronti tra il dover essere e l’essere, fa accettare e giustificare tutto con criteri insiti alla sfera individuale, fa giudicare il mondo con criteri tratti dal mondo. Ma, come evidenzia la cronaca di ieri e di oggi, l’assunto capitalistico fondamentale secondo il quale l’interesse egoistico, eliso dai valori religiosi e inserito in un contesto concorrenziale, basta a realizzare il bene comune, ha dimostrato il suo carattere drammaticamente illusorio. Come segnala la crescita inesorabile delle diseguaglianze e dei rancori e dei torbidi che produce.

A suo avviso solo un rinnovamento cristiano integrale può correggere l’ispirazione materialista del capitalismo – che è individualista in Occidente e collettivista in Oriente – per giungere a una sintesi ideale e concreta degli obiettivi personalistici e solidaristici di una società ordinata.

  • Quale visione delleconomia ispirava lo statista aretino?

Il radicato e strutturato anticapitalismo di Fanfani, come della corrispondente avversione ragionata al capitalismo di Stato sovietico, è un’eredità del suo maestro Giuseppe Toniolo (1845-1918), considerato il suo primo mentore accademico e spirituale, nel solco della tradizione intellettuale espressa tra Ottocento e Novecento dal pensiero sociale cattolico.

Toniolo, economista, storico, sociologo ed eminente protagonista nel panorama offerto dal movimento cattolico del suo tempo, fu un grande estimatore delle corporazioni medievali nel quadro di un’economia moderna di stampo solidale e perciò non capitalista. I suoi studi e la sua personalità ebbero notevole influenza sul magistero sociale della Chiesa, in particolare nella difesa e promozione dell’economia corporativa secondo quanto esposto da Leone XIII nel 1891 nell’enciclica Rerum Novarum, elaborata sulla tradizione culturale e intellettuale maturata nei secoli XIX e XX dagli esponenti del pensiero socio-economico cattolico.

A cui si aggiunse nel 1931 la Quadragesimo Anno, enciclica promulgata da papa Pio XI come attualizzazione dei canoni stabiliti dalla Rerum Novarum e ispirata dalla situazione economica mondiale seguita al crollo di Wall Street nel 1929. La severa condanna dei fallimenti del mercato e del capitalismo e dei conseguenti danni collaterali in essa espressa costituì un punto di riferimento fondamentale per il giovane studioso della Cattolica, anche e soprattutto per il richiamo alla soluzione corporativa proposta dalla dottrina sociale della Chiesa.

Su queste basi Fanfani dimostra, tra l’altro, che le forme assunte dal capitalismo nella sua declinazione storica non sono compatibili con un’ortodossa concezione cristiana delle attività economiche. Pur riconoscendone il migliore adattamento nell’ambito della produzione, lo considera intrinsecamente inadeguato a determinare un’equa distribuzione della ricchezza, suggerendone una profonda riforma alla luce dei princìpi della dottrina sociale della Chiesa.

La logica della Cristianità si raffronta infatti con problematiche legate al corretto rapporto con il prossimo mentre la logica del capitalismo si interroga su come estrarre profitto a scapito del prossimo. Per molti aspetti, come nota magistralmente Fanfani, sarebbe difficile trovare due prospettive maggiormente in conflitto.

Il politico aretino, sull’onda devastante della grande crisi del 1929, approfondì l’analisi su diverse e antagoniste modalità di organizzare la vita economica di un paese allora in auge. Capitalismo, socialismo, e corporativismo – cattolico e fascista – entrarono direttamente nel cuore della sua riflessione.

La comparazione tra questi tre sistemi inizia ponendo al centro dell’esame l’ambito dei fini. Capitalismo e socialismo trovano una base comune: quella materialista. Per entrambi, infatti, l’uomo è indirizzato verso il conseguimento del benessere economico: individuale nel capitalismo, collettivo nel socialismo. Da tale assunto discende per lui una conclusione inesorabile: l’ultima realizzazione della società capitalistica è il regno sovietico, in quanto il comunismo non è che il prolungamento del capitalismo nella sua versione statalista.

La sintesi è altrettanto lapidaria. Il corporativismo è diverso poiché il modo corporativo, cioè solidale fra le classi, ha fini diversi dal sistema capitalistico, d’Oriente e di Occidente. Il corporativismo si oppone ai difetti dei due massimi sistemi economici che si disputavano l’egemonia mondiale, raccogliendo più o meno paradossalmente gli aspetti positivi di entrambi. Supera l’opposizione di classe insita nelle due modalità, considerando, in maniera più completa, la complessità dei fini della persona umana.

È in questo quadro di riferimento che si colloca l’impegno di Fanfani nel proporre e realizzare una terza via, sulle basi dell’esperienza corporativa elaborata dalla dottrina sociale della Chiesa.

In ambito costituente dobbiamo infatti a lui la stesura dell’articolo 1 della Costituzione italiana, nei due commi che lo costituiscono: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

Lavoro e sovranità sono i parametri fondamentali posti come colonne d’Ercole a guardia della Carta. E sempre a lui risale il secondo comma dell’art. 41: «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata a fini sociali». In tal modo portò a compimento istituzionale la sua teoria del controllo a fini sociali da parte dello Stato sulle attività economiche e quindi sul fondamentale uso cosciale della ricchezza.

Il leader democristiano non si discostò mai da queste linee fondamentali del pensiero economico e sociale che ne aveva segnato gli anni di formazione.

  • Che giudizio aveva, Fanfani, del comunismo

Nei suoi studi accademici, che delineano la prima parte della sua vita, Fanfani non aveva espresso una valutazione definitiva sul comunismo, che a suo avviso aveva il merito del “naturalismo della giustizia”, sottolineando gli attriti drammatici e inconcepibili fra i vari partecipanti alla produzione.

Solo nel 1957, in un convegno ad Arezzo, reputò il momento maturo per esprimere un giudizio a consuntivo. Di fronte alla serie di cocenti delusioni provocate dal comunismo, a livello intellettuale e di violenza di massa, Fanfani si chiese se il movimento stesse vivendo un periodo transitorio di aggiustamento oppure una crisi profonda e inesorabile. Fu la seconda opzione a essere riconosciuta come corretta. Anticipandone il crollo con trent’anni di anticipo grazie a una lucidissima lettura del futuro.

I sistemi economici, spiegava allora Fanfani, si distinguono per il fondamento su cui si basano. Se quello capitalista poggia sull’istinto della ricerca del benessere, trascurando la questione della giustizia, il comunismo si concentra solo sulla giustizia, senza curarsi del benessere. Per questo si trova avviato fatalmente verso il fallimento e sarà costretto ad arrendersi al capitalismo. Non di solo pane vive l’uomo, è vero. Ma neppure di sola giustizia. L’uomo vuol vivere nella giustizia, ma con una pagnotta di pane sul tavolo, diceva.

La sua formazione cattolica gli faceva leggere lo sviluppo del piano storico sulla filigrana e la clessidra di un’organica metafisica della Storia.

Fanfani previde l’ineluttabile implosione del sistema sovietico, minato dal progressivo e inesorabile sgretolarsi delle sue fondamenta dottrinarie, in quanto la crisi di cui soffriva il comunismo era una crisi di princìpi.

Un sistema sociopolitico entra in crisi – spiega – nel momento in cui si incrinano i suoi fondamenti teorici e solo successivamente ciò si traduce anche in perdita di consenso culturale, sociale ed elettorale. Ma la prima manifestazione della crisi si produce al centro e all’interno, non alla periferia e sulla superficie. Non bisognava farsi ingannare dalle apparenze. Malgrado la crisi, nel 1957 gli apparati partitici e la potenza dell’impero sovietico non avevano perso vigore. Ma la Storia è maestra e insegna sempre ad avere pazienza.

L’effetto era dunque inevitabile, anche se la scadenza restava imprecisata. Ma per Fanfani l’ineluttabilità del crollo era già scritta nell’implosione dottrinaria, sociale ed economica dell’ormai consolidato esperimento sovietico. Non appariva infatti ipotizzabile una riforma interna del comunismo, data la struttura intrinsecamente fragile e rigida delle sue fondamenta teoriche che rendeva impossibile un rinnovamento radicale. Come il crollo repentino del 1989 avrebbe ampiamente dimostrato.

  • Quale indirizzo assunse lazione politica promossa da Fanfani?

Fanfani si caratterizzava per toni di anticapitalismo e antimodernità mitigati da realismo e concretezza. A suo avviso una cultura economica definita “naturalista”, ovvero per la quale tutto è governato dall’incoercibile e istintuale pulsione al guadagno, doveva essere superata da una cultura di segno “volontarista”, capace cioè di imporre la priorità dei fini ideali e sociali su quelli individuali e utilitari. La vera legge naturale per Fanfani era quella dei fini universali.

Con la sua proverbiale concretezza, Fanfani indicava tra gli strumenti di intervento pubblico l’azione e l’impegno dello Stato nella vita economica nazionale. In quanto con la sua azione amministrativa e legislativa nel campo delle concessioni, del credito, dei prezzi e della tassazione, lo Stato poteva e doveva impedire la formazione e l’esercizio di monopoli nocivi all’efficienza del sistema economico e alla libertà dei cittadini.

La società capitalista si regge infatti sull’interesse egoistico individuale. Nei sistemi economici capitalistici odierni l’erosione dell’eredità etica del Cattolicesimo pre-industriale e pre-capitalistico, intesa come pilastro di una legge morale “internalizzata”, si è prodotta nell’arco di un lungo e lento processo, apparentemente naturale, che ha favorito prima e permesso poi la sua generale accettazione provocando un conseguente adattamento della base morale della società, rendendone congruenti i princìpi con il comportamento economico.

L’erosione della base etica ereditata sotto la spinta del nuovo spirito economico del capitalismo e la diffusione dell’individualismo ha liberato – letteralmente “scatenato” – gli attori economici, in primis le aristocrazie venali, dal loro katéchon specifico, vale a dire da ogni limite valoriale, religioso e morale, senza fornire alcun valido sostituto alla moralità sociale. Così, le inibizioni un tempo efficaci contro la menzogna e la frode hanno perso efficacia e il funzionamento sia dell’economia pubblica sia di quella privata si è notevolmente compromesso.

Lasciato libero di operare, conclude, il capitalismo si dimostra un implacabile nemico dei valori morali e religiosi. Per questo è necessario continuare a tenerlo subordinato: i mercati capitalistici possono essere ottimi servi ma pessimi padroni…

I piani d’azione di Fanfani hanno principio di esecuzione il 22 dicembre 1956 con la costituzione, fondamentale per il successivo boom economico nazionale, del ministero delle Partecipazioni statali e il varo, l’11 gennaio 1957, della legge sugli idrocarburi che promuove l’azione a tutto campo dell’Eni di Enrico Mattei, fondata nel 1953, mentre si attua il distacco delle aziende dell’Iri dalla Confindustria.

Di fronte a tale strategia prendono corpo resistenze e minacce, sia interne sia di respiro internazionale. Fanfani deve affrontare la sfida di un mondo legato agli interessi delle classi dominanti, che fanno il gioco della propaganda comunista, e che sono agli antipodi della dottrina sociale e corporativa della Chiesa i cui princìpi ha abbracciato a partire dagli anni della sua formazione culturale all’università Cattolica di Milano.

Il centrosinistra da lui avviato, pur tra mille preoccupazioni atlantiche, vaticane e imprenditoriali, ha avuto principalmente lo scopo di arginare il comunismo nell’ambito nazionale.

In questo obiettivo di riduzione delle diseguaglianze vanno inserite due delle iniziative sociali ed economiche ascrivibili al suo impegno politico, il “piano Ina-Casa” (significativamente ribattezzato dai media “piano Fanfani”) e la nazionalizzazione dell’energia elettrica da cui emerge la continuità delle convinzioni maturate dal giovane e strutturato professore della Cattolica.

Giorgio Galli, coautore nel 1962 di un’analisi sulla sinistra democristiana, evidenzia come il tema del controllo sociale dell’attività economica denunci un’impostazione in totale armonia con l’ideologia sociale degli anni della sua formazione e conclude che appare lecito parlare di una visione del corporativismo nuova e adattata ai tempi.

Il “piano Ina-Casa” attraverso un ente organizzato nell’ambito dell’Istituto nazionale delle assicurazioni, concretizzava il progetto relativo alla realizzazione di alloggi sani, moderni ed economici riservati ai lavoratori, si proponeva di raggiungere due obiettivi. Da una parte, un’imponente manovra per rilanciare l’economia e l’occupazione, dall’altra un intervento di partecipazione solidale su scala nazionale da parte delle diverse componenti sociali per venire incontro alle necessità primarie dei ceti disagiati.

A pieno regime, venivano prodotti settimanalmente 2.800 vani, riuscendo a dare una casa a oltre cinquecento famiglie a settimana. Gli assegnatari degli alloggi a riscatto venticinquennale, pagavano un canone mensile compreso tra le 5.600 e le 9.000 lire, mentre gli affitti non superarono mai le 3.750 al mese. Intanto, una nuova leva di ingegneri, architetti e urbanisti si affacciava alla ribalta della società italiana proprio grazie al Piano Fanfani.

Dal 1949 al 1962 i ventimila cantieri sparsi in un migliaio di Comuni di tutta Italia, dalle grandi città ai piccoli centri, offriranno ogni anno un posto di lavoro a 41.000 lavoratori edili, edificando nei quattordici anni di attività due milioni di vani per 354.751 famiglie italiane, realizzando così uno straordinario salto di qualità nel quadro delle condizioni abitative.

Come abbiamo visto, siamo negli anni del cosiddetto “miracolo economico”, un periodo che gli storici dell’economia collocano tra il 1956 e il 1963, praticamente in coincidenza con la terza legislatura repubblicana (in carica dal 25 maggio 1958 al 28 aprile 1963) di cui Fanfani, al netto delle parentesi dei governi Segni e Tambroni, fu protagonista assoluto.

Una stagione delicata e complessa, avventurosa e prepotente, dinamica e caotica, in cui convissero molte anime e di cui ancora oggi è difficile tracciare un’accurata linea di sintesi, a fronte delle mille contraddizioni che le diedero corpo e anima.

Il docente della Cattolica, infine, già nel 1934, tracciava a grandi linee anche l’excursus storico di quella che negli anni successivi sarebbe stata definita “globalizzazione”, nella direzione di un asservimento sempre più sfacciato dello Stato a uso e consumo degli obiettivi della plutocrazia.

Agli albori dell’età moderna, ricorda, il movimento verso le unità politiche nazionali ha favorito l’ampliarsi del mercato, preparando il terreno a una razionalizzazione economica altrimenti impossibile. Sotto la spinta dell’espansione capitalistica, impressa al sempre più ampio territorio nazionale, vengono demolite, una dopo l’altra, le rimanenti strutture a carattere feudale, e si instaura, su un vastissimo territorio, un’unica lingua e identiche leggi. Dalla centralizzazione statale si sarebbe poi arrivati, per gradi, alla sua definitiva erosione, aprendo così la strada alla moderna globalizzazione industriale e finanziaria.

Un ordine sociale cattolico, avverte Fanfani, non avrebbe certamente ignorato il progresso tecnico, ma ogni qual volta la tecnica avesse esercitato indebite pressioni sul mondo morale e sociale, non sarebbe mancata la manifestazione di un deciso freno da parte dell’etica cattolica.

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1 commento

  1. mauro melchionda

    Il libro sarà sicuramente interessante.
    L’intervista ci fa fa capire quanto il personaggio gia negli anni 50 e 60 fosse particolarmente preveggente sia per l’implosione dell’Unione Sovietica che per i danni che il materialismo insiti nel capitalismo e nel comunismo avrebbe apportato nella società.
    Fanfani al pari di Mattei, è un personaggio molto attuale

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