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Zolfo e social media

Elon Musk è un personaggio contraddittorio. A dire il meno. Icona sconsacrata del mondo hi-tech di oggi, è stato definito da Time Magazine la più realistica versione di Tony Stark, il protagonista del fumetto Ironman della Marvel. È peraltro noto che gli uffici stampa di Hollywood, dove la sua avvenente sorella, Tosca Musk, è un’affermata regista e produttrice televisiva, hanno reso noto che proprio a lui si è ispirato Robert Downey Junior per il personaggio della trasposizione di Ironman sul grande schermo.

Questo più che geniale miliardario sudafricano, uno degli uomini più ricchi del mondo, baciato dalla fortuna di possedere molti talenti, è un imprenditore seriale di successo che ha messo in piedi colossi come PayPal, l’azienda automobilistica di auto elettriche Tesla e il programma spaziale Space X, con il quale progetta di colonizzare Marte con una sua flotta di astronavi mentre Solar City, un’altra delle sue aziende che produce pannelli solari, è stata quotata alla Borsa di New York. Quest’uomo proiettato verso le ultime frontiere del Terzo millennio, nell’ottobre 2014, nel corso di una chiacchierata in occasione del Mit Aeronautics and Astronautics Departments Centennial Symposium ha usato parole e toni degni di un mistico predicatore mendicante del Medioevo paragonando i computer al male assoluto.

Per essere più precisi, all’evocazione del demonio…

Non stupisce che le sue parole non siano state riprese e sviluppate dalla grancassa mediatica dei tempi ultimi.

Le intelligenze artificiali sono la più grande minaccia per la sopravvivenza della razza umana. Affidarsi ai computer è come evocare il demonio, ha detto l’amministratore delegato di Tesla. Già nell’agosto precedente, peraltro, aveva lanciato un tweet altrettanto allarmante: «Dobbiamo essere straordinariamente attenti con l’Intelligenza artificiale. Potenzialmente più pericolosa delle bombe nucleari (We need to be super careful with AI. Potentially more dangerous than nukes)».[i] Concetti ripetuti il 24 ottobre al Mit, per rispondere a una domanda posta dall’audience. «Ritengo che dobbiamo essere molto attenti riguardo all’intelligenza artificiale. A mio avviso si tratta probabilmente della nostra peggior minaccia esistenziale (our biggest existential threat). Per questo dobbiamo stare molto attenti. Un numero crescente di scienziati ritiene necessario un organo di supervisione, magari a livello sia nazionale che internazionale, per avere la garanzia di non commettere qualcosa di molto imprudente (just to make sure that we dont do something very foolish)».[ii]

La mente corre subito a film dispotici come Terminator o Skynet, dove il super computer prende il controllo degli armamenti nucleari mondiali scatenando l’apocalisse tra uomo e macchine…

Ed è a questo punto che Musk cala il carico da 90: «Maneggiando l’intelligenza artificiale stiamo evocando il demonio» ha dichiarato papale papale, è proprio il caso di dire: With artificial intelligence we are summoning the demon.

Per poi aggiungere, subito dopo: «Come in tutte quelle storie dove c’è un tizio che va in giro con il pentacolo e l’acqua santa sicuro di potere tenere il demonio sotto controllo. Ma non funziona mai così (In all those stories where theres the guy with the pentagram and the holy water, its like yeah hes sure he can control the demon. Didnt work out)».

Nel suo pezzo sul Washington Post Matt McFarland segnala che Musk era rimasto evidentemente scosso dalle sue stesse parole. Tanto da perdersi la domanda successiva, trasognato negli incubi dell’intelligenza artificiale, e da essere costretto a scusarsi e a chiedere che venisse ripetuta: «Sorry can you repeat the question. I was just sort of thinking about the AI thing for a second»… Ripresosi rapidamente da quel fugace black out, Musk ipnotizzò il selezionassimo uditorio per oltre un’ora, concludendo il suo intervento con una standing ovation. A nostro modesto avviso, più che meritata…

Ma non è ancora tutto.

Quale nuovo proprietario di Twitter il 24 dicembre 2022, nel corso di un’intervista concessa al podcast All-In, il relapso Musk ha dato voce alla madre di tutte le teorie complottiste. «Per essere del tutto sinceri – ha dichiarato – quasi tutte le teorie complottiste apparse su Twitter si sono rivelate autentiche (To be totally frank, almost every conspiracy theory that people had about Twitter turned out to be true).

Per poi aggiungere, ancora più impavidamente: «C’è qualche teoria complottista di Twitter che non si è poi rivelata autentica? Fino adesso tutte si sono dimostrate vere. Se non addirittura più vere di quanto la gente potesse pensare (Is there a conspiracy theory about Twitter that didnt turn out to be true? So far, theyve all turned out to be true. If not more true than people thought)».[iii]

Le botte improvvise e inaspettate di consapevolezza sulle realtà dei tempi ultimi sembra stiano diventando sempre più compulsive e ricorrenti. Come se qualcuno o qualcosa avesse sciolto lingue e labbra una volta ermeticamente sigillate. E non per caso. Non si spiega altrimenti un’altra sconvolgente “rivelazione”, anche questa giunta da fonti al di sopra di ogni sospetto di oscurantismo medievale, complottista, sovranista o no vax.

L’outing di Reid Garrett Hoffman – tre anni prima dell’outing sulla necessità di un esorcismo nei confronti dell’intelligenza artificiale – per certi versi non era stato meno sconvolgente di quello di Musk.

Per chi non lo sapesse, Hoffman è uno dei principali imprenditori della galassia Internet. Come segnala il Wall Street Journal fondò il suo primo sito social, chiamato SocialNet, quando Mark Zuckerberg aveva ancora i pantaloncini corti e da quel momento è sempre stato schierato sul fronte più avanzato dei social-media. Perfettamente inserito nel brodo di coltura della Silicon Valley, qualcuno dice il più inserito, dal 1995 ha investito in oltre un centinaio di start-up, alcune delle quali di avvenire e successo planetari come Facebook, Flickr, Groupon e Zynga, società specializzata nello sviluppo di videogiochi, sia da solo sia come socio di Greylock Partners, una delle più consolidate società di venture capital, fondata nel 1965.

Come membro della squadra esecutiva del progetto PayPal, guadagnò milioni di dollari quando l’azienda venne acquisita da eBay nel 2002. Per non farsi mancare, e sfuggire, nulla, Hoffman è co-fondatore e presidente esecutivo anche di LinkedIn, social orientato al mondo degli affari, utilizzato principalmente per il networking professionale, 100 milioni di utenti in tutto il mondo e un valore stimato di 8 miliardi di dollari. «Hoffman ritiene che il social networking resterà la piattaforma principale su cui si svilupperanno nuove app e nuovi servizi e scrutando l’orizzonte (sì, Web 3.0 è già allo studio) considera le informazioni – specialmente quelle personali acquisite attraverso le attività degli utenti online – il carburante essenziale del nuovo boom. La privacy, afferma, è ormai roba da vecchi (Privacy, he claims, is primarily an issue with old people)».[iv]

Nell’intervista concessa nell’estate 2011 a Peter Newcomb per il Wall Street Journal, Hoffman se ne uscì pinguamente placido con un’affermazione molto lucida e oggettiva, data la fonte e il suo incontestabile e navigato know how. «I social network danno il meglio di sé quando vanno a pescare in uno dei sette vizi capitali»…           Una testimonianza da insider, per così dire.

Ricordiamo che secondo la dottrina cattolica i peccati capitali – chiamati così perché da essi ne derivano altri essendo “capo”, cioè origine e causa di altri vizi – sono sette: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, gola, pigrizia e accidia.

Facebook è il trionfo dell’ego. Zynga dell’accidia. LinkedIn dell’avidità, sentenziava allegramente Hoffman. Facebook is ego. Zynga is sloth. LinkedIn is greed.

Alla luce di queste sconcertanti dichiarazioni, Robinson Meyer sulle colonne di The Atlantic cinque anni dopo, alla luce del boom termonucleare di quelle piattaforme digitali, si è chiesto se non risieda esattamente in quelle radici il successo planetario di questi social e di altri consimili, mentre altri più settoriali e focalizzati, dedicati a melomani o cinofili per esempio, non ottengano gli stessi risultati. E si è risposto che la chiave è proprio quella, la trasgressione di tabù ancestrali, in grado di vellicare i bassifondi psichici dell’animo umano. Meyer stilava una sorta di sulfureo catalogo social, collegando ciascuno peccato capitale a uno specifico social.

Il divertissement, che tale poi non è…, appare piuttosto intrigante.[v]

A Tinder, app di incontri che gode di una platea sempre più ampia, corrisponde ovviamente la lussuria. All’inizio del secondo cerchio dell’Inferno di Dante, i lussuriosi sono condannati per sempre a vivere all’interno di una bufera infernale. Oggi si trovano preda di una tempesta simile, costretti a cliccare in continuazione sull’etere digitale in cerca di un’anima gemella che sempre sfugge.

La gola ha il suo approdo su Instagram, nella forma del contrappasso per i golosi. Scrive Meyer: «A volte capita di sentir parlare del supplizio di Tantalo, bloccato in una pozza all’ombra di rami stracarichi di frutta. La sua punizione consisteva nel fatto che il frutto sfuggiva sempre dalle sue mani mentre l’acqua si ritirava dalle sue labbra quando cercava di berla. È lo stesso con Instagram: I bocconi più allettanti ci passano davanti ma non possiamo mai mangiarne».

Avarizia e avidità sono il dominio di LinkedIn. I dannati di Dante, tutti identici e quindi irriconoscibili, devono scontare la pena spingendo dei massi con il petto. Come nel caso del social in questione, caratterizzato da un’ansia incoercibile di aggiungere contatti, come in una raccolta di figurine da scolari delle elementari. Meyer cita al proposito una riscrittura parodistica dei versi di Dante (Inferno, VII, 25-30):

«Qui vid’io gente più ch’altrove troppa,

e d’una parte e d’altra, con grand’urli,

voltando pesi per forza di poppa.

Percoteansi incontro; e poscia pur lì

si rivolgea ciascun, voltando a retro,

gridando: «Ciao, vorrei aggiungerti

alla mia rete professionale su LinkedIn»…

L’accidia spettava a buon diritto a Zynga. Ma ora è stata soppiantata da Netflix, anche se non è un social media. Ma costringe comunque a rimbecillirsi per ore e ore davanti agli ipnotici spettacoli televisivi che propone, sempre calzati in un’accattivante veste altamente professionale. Ma sempre di quello si tratta. Nuova versione del cervello all’ammasso della vecchia propaganda anticomunista di don Peppone.

Il veicolo privilegiato dell’ira, raccolta a piene mani a livello planetario, non può essere che Twitter, serbatoio inesauribile di rabbia e risentimento digitale. Che riunisce i due aspetti dei dannati della palude dello Stige di Dante, sia le «anime di color cui vinse l’ira», aperta e manifesta, sia quelle degli « iracondi amari» che covarono sordamente dentro di loro la propria rabbia.

Pinterest, bacheca social dove condividere fotografie, video e immagini per Meyer è il rifugio che ospita gli invidiosi, tanto smaniosi di avere ciò che non possiedono da rimanere accecati davanti a quello che possiedono

La superbia, infine, appartiene a Facebook, secondo Hoffman. Per Meyer è invece il campo della vanità, l’insopprimibile afflato verso il proprio irresistibile fascino e la volontà inarrestabile quanto temeraria di farlo conoscere.

Resterebbe da chiedersi come mai rivelazioni tanto significative vengano oggi proposte dai protagonisti di primissima fila della galassia digitale. Come mai tanta “innocenza”…?

Forse non resta che affidarsi alle parole dell’unico Maestro: «Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti»…[vi]

Al netto di queste considerazioni e comunque le si vogliano vedere e valutare, le più che autorevoli ammissioni citate hanno entrambe una chiara dimensione, problematica quanto inquietante. Ma che si sposa perfettamente con le mode psichiche dei tempi ultimi.

Come diceva quel comico garbato di una volta, meditate, gente meditate…

[i] Cfr., https://twitter.com/elonmusk/status/495759307346952192.

[ii] Il Washington Post propone l’audio sia dell’intervento integrale di Musk sia l’estratto più sintetico del suo “esorcismo”. Cfr., M. McFarland, Elon Musk: With artificial intelligence we are summoning the demon, Washington Post, 24 ottobre 2014, https://www.washingtonpost.com/news/innovations/wp/2014/10/24/elon-musk-with-artificial-intelligence-we-are-summoning-the-demon/.

[iii] Cfr., Elon Musk To be totally frank, almost every conspiracy theory that people had about Twitter turned out to be true, https://twitter.com/i/status/1606852465751629825.

[iv] P. Newcomb, Reid Hoffman. The venture capitalist on how to hit a fast-moving target in the second-wave Web boom, Wall Street Journal, 23 giugno 2011, https://www.wsj.com/articles/SB10001424052702303657404576363452101709880.

[v] Cfr. Robinson Meyer, The Seven Deadly Social Networks, The Atlantic, 9 maggio 2016, https://www.theatlantic.com/technology/archive/2016/05/the-seven-deadly-social-networks/480897/.

[vi] Luca, 12, 2-3.

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