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Veni, Vidi, ENI

L’attentato di Bascapè. Sette mandanti per sette sorelle: un delitto “abissale" - Parte 1

Nel 60esimo anniversario dell’attentato che pose fine alla parabola imprenditoriale e umana di Enrico Mattei esce in libreria per le edizioni Byoblu, Veni Vidi, Eni. 2 – L’attentato di Bascapè. Sette mandanti per sette sorelle: un delitto “abissale”…, la seconda parte della biografia che Gianfranco Peroncini, storico e analista geopolitico del Centro Studi, ha dedicato al fondatore dell’Eni e al sovranismo energetico. Questa intervista è il sunto di un lungo incontro, che abbiamo voluto dedicare a un personaggio cruciale della storia industriale italiana, il cui pensiero è oggi più contemporaneo che mai.

Nel primo volume del tuo studio hai disegnato i contorni politici, economici e industriali che hanno condotto l’Italia  ad essere, dopo soli 15 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, una potenza internazionale in ascesa. Mattei ne fu protagonista assoluto. In che contesto si colloca questo secondo volume dedicato alla sua morte?

È uno studio che prende direttamente le mosse dalle ultime righe di Veni, Vidi, Eni. 1- La “lunga marcia” dall’Agip all’Eni di cui costituisce il seguito logico e cronologico, al cui testo si deve indirizzare il lettore in cerca di approfondimenti precedenti, per evitare una litania estenuante di note, segnalazioni e rimandi a causa di quanto viene dato per scontato dalla narrazione antecedente.

Nella seconda parte della biografia si ripercorre un arco fondamentale di storia italiana che cuce e disegna l’ultimo tratto della parabola professionale ed esistenziale di Enrico Mattei. Si parte dai prodromi della crociata mediorientale alla ricerca del greggio non rintracciabile in Italia, almeno nelle quote necessarie, si passa dalla firma a Mosca dello storico accordo per la fornitura di greggio sovietico nell’ottobre 1960 per approdare infine, dolorosamente e tragicamente, all’attentato di Bascapè il 27 ottobre 1962, proponendo la trama e l’ordito di un segmento decisivo dell’epoca repubblicana che vede il consolidarsi internazionale dell’Eni e del suo presidente sullo sfondo di vicende politiche, economiche e sociali fondamentali. Come l’avvio dell’innovativa formula di centrosinistra e la nazionalizzazione dell’industria elettrica, snodo prioritario per traghettare e consolidare l’Italia nell’epoca del cosiddetto “miracolo economico”.

Per rintracciare le fasi fondamentali dell’avventura di Mattei, parli spesso di un “convitato di pietra”. Di che cosa si tratta?

In filigrana, si rintraccia sempre la presenza di un formidabile “convitato di pietra”, un’ineludibile pietra d’inciampo definita dagli schemi imposti dalla Guerra fredda e dal confronto, ambivalente e complesso, tra il blocco occidentale e quello orientale che senza quell’ingombrante elemento di ricatto avrebbero durato maggior fatica a imporre ai rispettivi satelliti la passiva e servile acquiescenza ai dogmi della sovranità limitata, dottrina imposta senza se e senza ma ai rispettivi proxy geopolitici.

Ma quello che preme sottolineare, purtroppo, è che l’intera, paradigmatica e straordinaria vicenda del manager di Stato Mattei rimane per così dire schiacciata dal tenebroso “giallo” della sua morte, attirando attenzioni curiose, se non addirittura morbose, lasciando in secondo piano gli incredibili risultati economici, sociali e diplomatici ottenuti dal padre padrone dell’Eni.

D’altro canto, l’ultimo scorcio della vita di Mattei, e dell’Italia, risulta fatalmente condizionato dalle polemiche generate dal tragico epilogo della sua vita. Polemiche tenaci legate all’ormai impossibile compito di identificare, se non i meri esecutori, quanto meno i mandanti di quel terribile e feroce agguato nei cieli di Linate sessant’anni fa.

Già il fatto che un tenace magistrato sia riuscito ad accertare nell’arco di un’inchiesta durata dal 1994 al 2003 solo a decenni di distanza che la morte di Mattei è da attribuire definitivamente a un congegno esplosivo collocato sul suo aereo deve essere considerato un successo formidabile.

Perché, in quanto tale, un attentato di quella complessa ed estremamente sofisticata organizzazione – concettuale, logistica e operativa, prima, durante e dopo… –, configura, piaccia o non piaccia, il caso di specie di un complotto. E non di un non meglio specificato “complottismo”.

Detto questo, forte e chiaro, con altrettanta malinconica certezza non si può che constatare l’evidenza del fatto che oltre queste colonne d’Ercole non è possibile avventurarsi. Almeno senza la premessa che si affronta una navigazione induttiva, ipotetica e soggettiva. Sorretta da una logica più o meno fondata, avvalorata da indizi, suggestioni e documenti non completamente esaustivi, tutti elaborati secondo un’assai problematica ars combinatoria. Alla luce di queste premesse, anche noi ci siamo spericolatamente spinti sulle rotte di questa “terra incognita”, cioè non ufficialmente cartografata, e il lettore potrà giudicare la fondatezza delle nostre ipotesi “profonde”. O “abissali”…

Ne parleremo. Quali sono oggi i capisaldi dell’opera di Mattei che si possono riporre all’attenzione della società italiana nel suo complesso?

L’intervento dello Stato nell’economia di cui Mattei è stato un sostenitore tenacemente quanto drammaticamente efficace, si è di nuovo riproposto nei tempi ultimi rivelandosi decisivo, come è sempre stato, per una concreta ed effettiva ripresa dalla crisi in cui la società contemporanea è stata gettata dalle diverse deregulation, dalle privatizzazioni sventate, dalla globalizzazione, dal suo fallimento e dai tagli di spesa del settore pubblico. Specie, ma non solo, in campo sanitario.

Non bisogna essere grandi esperti del pensiero keynesiano per scoprire che una sana economia si basa sulla distribuzione più ampia possibile della ricchezza, volano principale di un benessere diffuso. Esattamente il contrario di quanto i dati econometrici mondiali hanno fatto e stanno facendo registrare in questi anni.

Non sfugge neanche il fatto che il sistema liberista opera con il fine unico di congestionare e costipare la distribuzione della ricchezza di cui sopra per concentrarla ancor più nelle mani delle aristocrazie venali che ci governano.

In riferimento a questi ambiti, scomodare concetti etici propri della dottrina sociale cattolica come la responsabilità sociale dell’utilizzo della ricchezza, appare in questo caso del tutto fuori luogo. Ma altrettanto incongrui appaiono anche gli appelli ben più pragmatici ai benefici prodotti dal circolo virtuoso di una circolazione allargata dei frutti del lavoro, destinata a riverberarsi su tutta la catena di comando e controllo della produzione: le élites dei tempi ultimi sono pietrificate dall’ottusità meschina. Non perché sono malvage. Ma perché sono cattive…

Nel senso latino del termine, captivus, prigioniero. Prigioniere dei vizi volgari e insani che le distinguono e ne segnalano le (dis)qualificazioni. Principalmente la filautia e la filocrazia, rispettivamente l’amore eccessivo per se stessi e la brama inestinguibile di potere che, secondo l’ortodossia religiosa costituiscono il nocciolo costitutivo di tutte le tentazioni dell’uomo. Non a caso, entrambe furono vinte dal Cristo dopo essere stato sfidato e messo alla prova dal demonio alla fine della Quaresima nel deserto.

Perché il liberismo (neo o paleo che sia), date le sue pregiudiziali spirituali prima che ideologiche, sociali ed economiche, mette fatalmente in moto meccanismi di radicale squilibrio destinati, alla fine, a implodere e ad autodistruggerlo. Come stiamo vedendo nel sempre più drammatico prisma ottico di crisi economiche, pandemie, guerre indotte e provocate, migrazioni senza controllo, criminalità diffusa, dissesto ambientale…

Come risulta utile l’esperienza di Mattei in questo contesto?

Sulla base dello scenario di fondo descritto oggi si rincorrono, sempre più spesso, i richiami per recuperare, con i dovuti adattamenti e miglioramenti, le lezioni apprese di una dottrina economica basata sulla cosiddetta “Terza via”, ritrovando spinta dall’esperienza delle partecipazioni statali ma evitandone gli effetti collaterali negativi dovuti a clientele partitocratiche e consociative che ne limitarono, a volte in maniera molto pesante, la dinamica vitale. Premessa necessaria per lanciarsi nell’entusiasmante avventura di tornare a munirsi di un arsenale di strumenti adatto alle straordinarie necessità del momento.

Prima di tutto facendo recuperare allo Stato, alla sua autorità e ai suoi bilanci, il controllo dei servizi strategici essenziali: telecomunicazioni, trasporti, energia, sanità, difesa, agroalimentare. Sia per gli obiettivi della gestione della sicurezza nazionale, sia sul versante delle ricadute di natura economica, coniugando l’esigenza di trovare le coperture necessarie a finanziare la ricostruzione e a migliorare l’assetto sociale ed economico complessivo della nazione e del territorio.

Alla luce di quanto precede, studiare in maniera approfondita e dettagliata Mattei e la società in cui si disegnò la sua parabola storica appare straordinariamente attuale.

Come sappiamo, alla fine della Seconda guerra mondiale, era stata ordinata la liquidazione dell’Agip, l’Azienda generale italiana petroli, impresa di Stato fondata nel 1926 allo scopo di individuare eventuali giacimenti petroliferi in Italia ma anche per gestire soluzioni più convenienti rispetto al problema dell’approvvigionamento petrolifero. Nel corso degli anni l’Agip sarebbe così diventata, a tutti i livelli operativi, dalle maestranze alla dirigenza, uno straordinario serbatoio di professionalità e di competenze specifiche.

E fu proprio a quel punto che prese avvio la storia della moderna attività petrolifera italiana. Dato che come liquidatore dell’Agip venne nominato Enrico Mattei. Il quale anziché smobilitare “il vecchio e inutile carrozzone fascista” continuò le ricerche e le perforazioni finché non trovò, nel marzo 1946, meno di un anno dopo aver assunto la carica di commissario, il metano dello storico pozzo di Caviaga 2, nel Lodigiano, che ancora oggi produce gas metano per il Comune di Lodi, a sessant’anni di distanza.

In altre parole, Mattei si comportò in maniera diametralmente opposta rispetto a Romano Prodi, al quale sarà affidato qualche decennio dopo il compito di liquidare l’Iri, compito che gestirà con alacre impegno, garantendosi le benemerenze necessarie che lo condurranno, invece che alla morte per attentato…, alla presidenza del Consiglio italiano e della Commissione dell’Unione europea.

Enrico Mattei fu invece l’uomo che osò sfidare il potere delle grandi compagnie petrolifere e la struttura stessa di quell’industria, una delle più potenti della storia dell’umanità, in nome dello strategico sovranismo energetico nazionale. Declinazione specifica dell’assioma generale secondo cui la sovranità sta allo Stato come la libertà sta all’individuo.

Ne avrebbe pagato il prezzo. (continua…)

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1 commento

  1. Decimo Alcatraz

    Incontrare Gianfranco Peroncini è un’esperienza piuttosto unica. La sua capacità di annodare fili separati e mai ricondotti ad un’unica matassa è sorprendente. Il farlo attraverso un metodo rigoroso di ricostruzione storica, reperendo fonti spesso dimenticate o frammentate, è uno sforzo meritevole di essere reso pubblico, disponibile a tutte quelle persone che vogliono formarsi un pensiero compiuto, libero, indipendente

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