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Spacciatori virtuali

La società nutritiva del capitalismo terminale ha avuto un’ulteriore spinta involutiva con l’avvento delle reti sociali, i cosiddetti social network. Pericolosi strumenti di controllo e di manipolazione delle menti, frutto avvelenato delle grandi società informatiche statunitensi. Penetrati subdolamente nella psiche delle masse, sono divenuti in breve tempo un’abitudine ineludibile con effetti tossici ai quali è difficile sfuggire.
Producono immensi guadagni ai loro creatori e danni cerebrali da dipendenza ai fruitori del servizio, come prassi abituale nella patria del profitto come unica ragione di vita.

Queste comunità virtuali popolate di falsi amici, sono la vetrina delle più basse pulsioni esibizionistiche, espressione caratteristica del narcisismo contemporaneo, dove mettersi in mostra ad ogni costo è essenziale per la percezione del proprio Io. Si pubblicano fotografie di se stessi alterate da trucchi tecnologici per essere più belli e desiderabili, di vacanze da sogno per farsi invidiare, di piatti di cibo che non si gustano, ma si esibiscono come feticci. Immagini del proprio successo sociale, economico, affettivo, di cui si vuole convincere gli altri, in realtà per rassicurare se stessi. Vetrina fasulla di felicità artificiale che viene spiata ossessivamente da altri che vivono le vite altrui in mancanza di una propria per cui vale pena di vivere. Immagini luccicanti di attori, cantanti, calciatori, influencer ed altre varietà di pagliacci variopinti della società del vuoto, personaggi spesso problematici preda delle peggiori dipendenze e del disagio mentale. Ma che nonostante tutto sono invidiati e presi a modello, eletti ad esempio da soggetti frustrati e scontenti, che aspirano ad entrare nell’olimpo dei vip da rotocalco.
Non importa chi si è o cosa si fa, ma come si appare, per farsi notare, per sentirsi vivi ed apprezzati in una società priva di valori e riferimenti superiori.

Le reti sociali sono arena di polemiche inutili, di vili attacchi anonimi, un antidepressivo per combattere il vuoto interiore e scaricare la rabbia e le frustrazioni nel modo più plateale. Il contatto illusorio con questo mondo scatena quelle emozioni indispensabili alla vita di relazione ormai rare nella realtà per il progressivo isolamento sociale.
I plutocrati progressisti della Silicon Valley hanno usato le strategie mentali della psicologia cognitivista comportamentista e le conoscenze delle neuroscienze per indurre la dipendenza dai loro pericolosi prodotti.
La consultazione della rete informatica è compulsiva, i fruitori vi accedono più volte al giorno, per automatismo inconsapevole, scambiando la realtà vera con quella virtuale, ovvero irreale.
Le stesse tecniche usate per provocare la dipendenza dal tabacco, dalle sostanze psicotrope, la ludopatia, vengono impiegate per indurre comportamenti coattivi ai quali non si può sfuggire.
Il gradimento espresso con cuori e ad altri segni di condivisione stimola i centri corticali nella zona limbica, il nucleo accumbens, i cui neuroni secernono la dopamina il neutrosmettitore del piacere. Altri ormoni, endorfine, serotonina e noradrenalina, regolano il tono dell’umore, dando benessere ed eccitazione.

Il piacere provato come ricompensa per l’azione compiuta virtualmente provoca il meccanismo di rinforzo che induce la ripetizione compulsiva del comportamento gratificante.
Si instaura il circuito vizioso della dipendenza dalla quale uscire è sempre difficile e doloroso, la vita si riduce a schemi comportamentali stereotipati e forzati annullando la volontà e la libertà.
Nei ratti la somministrazione di cibo e l’attività sessuale provocano la produzione della dopamina, gli umani come animali da sperimentazione rispondono agli stessi stimoli ricevendo i “mi piace”.
Gli effetti devastanti della frequentazione delle reti sociali e dell’intelligenza artificiale, in particolare sugli adolescenti, hanno innalzato pericolosamente il numero di suicidi, l’autolesionismo, il disturbo d’ansia generalizzato e la depressione maggiore. Sempre più giovani si rinchiudono nelle loro camere in muto colloquio con il mondo esterno mediato dagli strumenti informatici che li separano dalla realtà.

L’Hikikomori isolamento patologico apparso già da tempo in Giappone, avamposto americanizzato della società della dissoluzione, si è diffuso rapidamente ovunque, segno di paura e rifiuto del vero contatto umano.
Generazioni sempre più fragili, prive di riferimenti e di esempi, figli di famiglie sfasciate o disfunzionali, rifiutano la vita reale per rifugiarsi in una dimensione apparentemente protettiva perché inesistente.
Nessuna prova, né opposizione, nessuno sforzo fisico, anche gli sport diventano virtuali, ridicoli simulacri delle discipline fatte di sforzo e fatica. La repressione di questi sintomi patologici non risolve il problema, non si esce dalla dipendenza vietando l’uso degli strumenti tecnologici, che diverranno ancora più attraenti, ma sostituendoli con attività affascinanti della vita reale. Relazioni affettive, sport, attività sociali e la riscoperta della spiritualità, dell’immersione nella natura con la sua benefica vibrazione: il Genius loci.

I padroni delle grandi aziende informatiche americane sono costretti ad ammettere la pericolosità dell’intelligenza artificiale, dell’uso indiscriminato dei computer, della frequentazione continuata dei loro social network.
Impongono ai loro figli di scrivere a mano, di leggere i libri, di giocare come si faceva una volta, sviluppando l’intelligenza umana non quella artificiale.
Come sempre gli spacciatori, anche quelli di emozioni virtuali, non si drogano, conoscono alla perfezione la pericolosità dei veleni che diffondono e ne stanno lontani.
La realtà virtuale è un ossimoro, è una contraddizione, se qualcosa è effettivamente reale non può essere virtuale.
Lasciamo l’illusione e ritorniamo alla realtà, al piacere di essere vivi, di amare, di combattere, di essere umani non mutanti bionici.

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