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L’Occidente sta davvero vincendo la guerra economica contro la Russia?

Al recente summit del G7 tenuto ad Hiroshima, il rafforzamento delle sanzioni contro la Russia è stato percepito come un segno di compattezza dell’Occidente, che ha ribadito ancora una volta il suo sostegno all’Ucraina. Ma se andiamo oltre le dichiarazioni di facciata, appare evidente come il ricorso a ulteriori misure restrittive getti più di un’ombra sull’efficacia di quanto fatto fino ad ora.

Dopo oltre un anno di conflitto, possiamo ragionevolmente dire che a livello militare la guerra abbia preso una piega poco gradita al Cremlino. Le posizioni sembrano consolidate e l’esercito della Federazione Russa ha subito gravi perdite a livello di mezzi e di uomini, ponendo seri dubbi sulla reale capacità del suo apparato bellico convenzionale.

Ma se consideriamo anche l’aspetto economico le cose non stanno andando particolarmente bene nemmeno per l’Occidente.

Quando Putin diede l’ordine di inviare le sue forze in Ucraina il 24 febbraio 2022, le Nazioni occidentali decisero di seguire una strategia ben precisa, basata su due punti fondamentali. L’invio di armi ed equipaggiamenti per aumentare le capacità belliche dell’esercito di Zelensky e l’introduzione di una serie crescente di sanzioni economiche che avrebbero dovuto mettere rapidamente in ginocchio la Russia.

Malgrado le iniziali parole piene di entusiasmo, che promettevano un imminente disastro economico tale da portare rapidamente Putin a più miti consigli, non vi è alcun segno che il boicottaggio dei combustibili russi, il congelamento dei beni degli oligarchi e la messa al bando delle esportazioni di materiali e componenti occidentali vitali per l’economia del Paese abbiano in qualche modo ammorbidito la Russia.

Certo uno dei motivi per cui le affermazioni riguardanti un collasso dell’economia russa erano (e sono) volutamente esagerate, consiste nel fatto che i politici occidentali sono perfettamente consapevoli di come i loro elettori stiano subendo notevoli danni collaterali. L’innalzamento dei costi per l’energia, l’inflazione galoppante ed un generale abbassamento del tenore di vita necessitano di rassicurazioni, per non far venir meno un sostegno popolare che inizia a mostrare qualche segno di cedimento.

Se è indubbio che le sanzioni abbiano effettivamente causato problemi a Mosca, gli ultimi 15 mesi hanno anche dimostrato come sia difficile porre in stato di assedio economico un paese dotato di risorse naturali e tecnologiche come la Russia.

Le stime del Fondo Monetario Internazionale che davano l’economia russa crollare dell’8,5% nel 2022 sono state riviste in maniera sostanziale, arrivando ad un calo del 2,5% per l’anno scorso, mentre si prevede un 2023 in crescita dello 0,7%. Sicuramente le autorità russe sono state abili a fermare abbastanza rapidamente l’ondata inflazionistica, a prevenire il panico bancario, a garantire il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti e a riportare il rublo addirittura ad un tasso di cambio migliore rispetto al periodo antecedente alla guerra, ma questo non è sufficiente a spiegare del tutto l’efficacia solo parziale delle sanzioni.

La realtà è che probabilmente l’Occidente ne ha sovrastimato gli effetti, dato che la convinzione che la guerra economica sarebbe finita rapidamente con un largo successo si basava su tre ipotesi piuttosto discutibili. La prima è che la Russia avrebbe rapidamente finito i soldi grazie al congelamento delle riserve e all’embargo sui combustibili, trovandosi nell’impossibilità di finanziare le sue operazioni militari. Ma se è vero che il volume delle esportazioni di gas e petrolio è diminuito, l’aumento dei prezzi è andato a compensare la minore quantità lasciando quasi inalterato il flusso di denaro in entrata. Senza contare che la Russia ha iniziato ad offrire le eccedenze di combustibile ad un prezzo scontato, trovando la fila di compratori, Cina e India prima di tutti.

La seconda ipotesi, rivelatasi poi errata, riguardava la certezza che l’intera comunità internazionale si sarebbe unita nel condannare l’invasione dell’Ucraina. Alcune nazioni asiatiche e africane si sono rifiutate di condannare la Russia e molte altre hanno scelto la via della neutralità o di una blanda critica. Questa mancanza di supporto universale ha permesso alla Russia di aggirare molte delle sanzioni. Una recente inchiesta del giornale tedesco Bild, mostrava come le esportazioni di componentistica elettronica e di prodotti chimici verso paesi confinanti con la Russia sia cresciuta in maniera esponenziale. Pur non avendo evidenze definitive è molto probabile che un aumento del 500% di queste esportazioni in paesi come il Kazakhistan o l’Armenia non siano dovute ad un improvviso boom economico, quanto al fatto che buona parte di questi prodotti finiscano poi indirettamente a Mosca.

La terza ipotesi, o meglio il terzo errore, è stato quello di considerare la Russia al pari dell’Unione Sovietica degli anni ’80, un gigante dai piedi di argilla che sarebbe crollato sotto la pressione del superiore modello economico occidentale. Ma come fatto notare recentemente dall’economista James Galbraith, la Russia ha un eccellente sistema scolastico, un know-how tecnologico di primordine e un apparato industriale che è plasmato, quando non direttamente creato, sul modello delle multinazionali occidentali sin dalla fine della guerra fredda. Non è stato così troppo difficile sostituire gran parte dei prodotti occidentali aumentando la produzione ed il consumo di beni autoctoni.

Possiamo trarre qualche lezione da tutta questa vicenda. L’Occidente ha probabilmente perso parte della sua influenza culturale e politica sul resto del Mondo. L’ascesa di nuovi colossi economici come la Cina e l’India ha spostato, forse in maniera irreversibile, gli equilibri del pianeta e ad oggi è molto più difficile esercitare pressioni verso altre Nazioni. Viene inoltre da chiedersi se in un’economia così interconnessa, le sanzioni economiche possano ancora essere considerate come della “armi” di dissuasione. La storia insegna che nella migliore delle ipotesi possono avere effetti significativi solo a lungo termine, ed in ogni caso difficilmente portano ad un cambio di regime, vedi gli esempi di Iran o Cuba.

Se la fornitura di equipaggiamenti militari ha permesso all’Ucraina di sostenere una battaglia il cui esito è ancora incerto, le nuove sanzioni e la volontà di supportare l’Ucraina “per tutto il tempo necessario” fanno capire come l’Occidente non stia esattamente vincendo la guerra economica, o quanto meno stia incontrando una resistenza molto superiore alle previsioni.

 

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