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La sindrome di Stoccolma dell’Europa

Nella serie tv di successo planetario “La Casa di Carta” una banda di rapinatori-rivoluzionari assalta la Zecca di Spagna. I protagonisti per mantenere l’anonimato scelgono nomi di città con cui farsi chiamare dai compagni e da ogni soggetto con cui entreranno in relazione. Nella prima serie Monica Gazambides, segretaria del Direttore della Zecca di Stato e ostaggio, entra a far parte della banda, a condividerne le motivazioni e i rischi, innamorandosi di Denver, uno dei rapinatori. Il suo nome da quel momento sarà Stoccolma e non a caso.

Il 23 agosto del 1973 un evaso irrompe nella sede centrale della Sverige Kreditbanken a Stoccolma: prende in ostaggio 4 persone e per 130 le obbliga a convivere nel corridoio del caveu lungo 16 metri e largo 3. L’atteggiamento comprensivo e gentile del sequestratore innesca fin da subito una reazione emotiva istintiva, che a posteriori verrà studiata, codificata – anche se mai registrata in alcun manuale diagnostico internazionale – e nominata “sindrome di Stoccolma”. Da quel momento l’atteggiamento arrendevole e comprensivo, capace di trasformarsi addirittura in un sentimento d’amore patologico e di co-partecipazione border line da parte di chi è succube nei confronti di chi vessa, maltratta, costringe e corrompe, si configura come la devianza specifica della capitale svedese.

L’Europa di questi tempi pare afflitta da una grave forma di sindrome di Stoccolma. A beneficiarne sono gli attuali aguzzini dem alla guida della politica estera negli Stati Uniti, impegnati a combattere sul suolo del vecchio continente una forma di guerra ibrida, in cui alle operazioni militari sul campo euroasiatico, limitrofo e decentrato, affiancano incursioni violente nel campo economico con prezzi energetici che fanno più danni dei tristemente noti B52 della Seconda Guerra Mondiale, con l’inflazione più deflagrante delle mine antiuomo sparse in Afghanistan e Iraq, con sanzioni inutili e fantasiose quanto le armi chimiche di Saddam Hussein, con speculazioni finanziarie assassine e con obblighi di fornire armi utili a rinforzare l’ego del presidente Zelensky e allontanare ogni istanza di trattativa e negoziato, in barba agli sforzi e ai proclami di Papa Francesco la cui autorità morale nelle città statunitensi è fortemente minata dalla crescita esponenziale della comunità protestante evangelica.

Come l’Europa si lasci persuadere dalla narrazione a stelle e strisce è presto detto. L’Internazionale Progressista, che si considera il ciambellano di corte dei signori dei mercati e della finanza, quando invece ne è il tragico giullare, esprime tutta la sua devozione attraverso l’eco mediatico e ancor più socialmediatico per indirizzare e condizionare l’opinione dei più. Giornalisti, opinionisti, attori, cantanti inneggiano all’idea sovrascritta, sperando di beneficiare delle briciole sapientemente lasciate per strada a segnarne il percorso per chi è privo di sensi e di senso, ma sensibile alla compravendita del consenso, sempre in saldo. Mette in campo le armate dell’educazione scolastica, votate alla guerra di trincea fin dalle classi primarie dove si costruisce il distacco dei ragazzi dai valori famigliari e si innestano le storture fluid-gender-nichiliste. Schiera la portaerei Netflix nell’immenso mare dell’intrattenimento per lanciare attacchi fulminei lungo le coste dell’intorpidimento e nei cieli del tempo libero. Irrompe con azioni di straordinaria audacia condotte dalle multinazionali del food&beverage, della moda, dell’elettronica, che attraverso le loro comunicazioni istituzionali e i pubbliredazionali patinati disegnano l’universo dei bisogni indispensabili per la felicità. E quando Russia, Cina, India, paesi arabi e latinoamerica presentano un modello differente, ecco che il risiko della distruzione programmata ha già disegnato la sua mappa di annientamento e conquista.

La tornata elettorale dello scorso 2 aprile ha visto la socialdemocratica Sanna Marin, global leader finlandese, ha dovuto pagare un duro prezzo per la rinuncia alla neutralità e l’adesione all’Alleanza Atlantica. L’eredità sociale che Sanna lascia in dote ai suoi successori fa il pari con quella geopolitica: icona dell’ideologia woke, ambasciatrice delle istanze LGBTQ+, convinta sostenitrice del programma gretino per il climate exchange, per qualche anno è stata il perfetto prodotto uscito dai laboratori di Charles Schwabb. E’ presto per dire che vi sarà un “effetto Helsinki” capace di investire l’Europa o quanto meno l’area baltica cruciale negli equilibri bellici russo-ucraini, ma quello che appare evidente è invece la sindrome scandinava, che oggi contagia l’Europa da Bruxelles alle diverse capitali nazionali.

La responsabilità di noi Europei è enorme. Seppure la sindrome di Stoccolma sia una reazione istintiva conclamata verso chi viene riconosciuto come dominante e più forte, trova però terreno particolarmente fertile in soggetti fragili, comandati dalla paura o orientati da aspettative di sopravvivenza più contingenti e meno razionali. Al riparo della nostra cultura millenaria e di un’identità che va ben oltre gli stati, noi Europei ci lasciamo confondere, abbindolare e blandire. Il Potere – liberato dalla necessità contrastare una qualsivoglia ideologia avversa – da repressivo si è fatto suadente. Bene lo spiega il filosofo sud coreano Byung-Chul Han nel suo saggio “Perché oggi è impossibile fare la rivoluzione”. Trapiantato da decenni in Germania, Byung allunga sull’Europa lo sguardo disincantato di una cultura altra e ne trova i gangli vitali avvizziti a tal punto da aver perso ogni segnale di vita. Appiattiti sulle istanze ordoliberiste, gli Europei non sono popolo ma massa informe di individui spauriti, ripiegati su stessi, intenti a trovare il proprio nemico all’interno della loro stessa anima, pronti a condannarsi quali traditori dei propri sogni e desideri e quindi disinnescati e incapaci di una reazione esterna veemente.

Il sistema democratico è il contesto perfetto in cui far proliferare la moral/economic/social suasion perché non mette a rischio la libertà, ma la esalta e la utilizza ai suoi scopi devirillizzanti e nutritivi. Il volto del carnefice non ha più le fattezze trucide del satrapo ma le guance borotalcate e il sorriso affabile e malandrino dello sciupa popoli, versione post-moderna dei play boy impomatati della Dolce Vita. Il bagaglio culturale, in cui gli Europei dovrebbero riconoscere la loro inarrivabile ricchezza e Bellezza, diviene il fardello di cui liberarsi al grido gioioso di una vita semplice, fatta di acquisti e ostentazione nel realverso dei social network, palcoscenico su cui balliamo come marionette impazzite nelle mani di un Mangiafuoco distrofico.

Si può guarire dalla sindrome di Stoccolma? Benchè i sintomi siano chiari e la diagnosi certa, non esiste un vero e proprio piano terapeutico. Solo il tempo si incarica di ripristinare le giuste sensazioni e di ridefinire ruoli e reazioni corrette. Solo il confronto con chi è capace di riconoscere l’aggressore violento e molesto e di chiamarlo con il suo nome offre una strada per ritrovare le giuste emozioni e le corrette funzioni cognitive, che presiedono al sentirsi comunità di popoli e non eurozona a moneta unica.

 

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