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Come l’Italia ha rinunciato alla sovranità

Alle origini del vincolo esterno

Dagli albori della Repubblica, l’Italia ha sempre avuto una sorta di dipendenza da istituzioni straniere.

Negli anni del dopoguerra un contributo sostanziale alla ricostruzione arrivò da quello che nel tempo ha preso il nome di Piano Marshall. In realtà si chiamava “European Recovery Plan” e diede vita al “vincolo atlantico”, una dipendenza economica, politica e militare che in varie sfumature è presente anche ai nostri giorni.

In anni successivi il nostro Paese ha cercato di trovare appoggi esterni con l’ingresso nello SME, il Sistema Monetario Europeo, ed in seguito con l’Unione Monetaria Europea. Vincoli sempre più stringenti che hanno finito per strangolare la capacità di condurre politiche economiche a livello nazionale.

Le cause di questa tendenza alla subordinazione hanno origini antiche, una sottovalutazione della forza di una Nazione relativamente giovane come la nostra, la convinzione che le cose buone possano arrivare solo dall’esterno ed infine il timore di rimanere confinati all’arretratezza di parte del mediterraneo piuttosto che puntare alla modernità del Nord Europa.

Ma non vi è dubbio che il concetto di vincolo esterno come lo conosciamo oggi ha origine negli anni ’70 con il fondamentale contributo dell’allora Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli.

In uno scenario occidentale dove le politiche keynesiane fino ad allora dominanti, vengono messe in discussione dalla grande crisi scatenata dall’aumento indiscriminato del prezzo del petrolio, si fanno strada le politiche neoliberiste. Meno Stato, meno tasse e conseguente diminuzione della spesa pubblica, sono la ricetta che permettono alla Thatcher di trionfare in Gran Bretagna e a Reagan negli Usa. Sono gli anni della Trickle Down Economics, la balzana idea che favorendo le classi più agiate attraverso una tassazione agevolata, a cascata tutti ne avranno benefici.

In Italia il dibattito politico verte poco su temi economici, non vi sono partiti che spingono verso una liberalizzazione del mercato, lo Stato Sociale è ancora saldamente presente nei discorsi di qualsiasi organizzazione politica. La sinistra, quella vera, è ancora molto forte e la mobilitazione delle piazze è una prassi consolidata.

Vi è tuttavia una elitè tecnocratica, i cui membri ricoprono prestigiose cariche in Banca d’Italia e nel Ministero del Tesoro, che spinge per l’adozione di politiche neoliberali. A loro modo di vedere la classe politica italiana non è in grado di affrontare i problemi macroeconomici e diventa necessario uno strumento che limiti la libertà di manovra del governo e ne indirizzi le politiche economiche in maniera stringente e definitiva. La nascente Europa sembra perfetta per adempiere a questo scopo.

Assistiamo così ad un’opera decisa e costante da parte di questa “tecnocrazia”, il sottobosco di potentissimi burocrati i cui principali esponenti sono Guido Carli e il suo successore alla guida della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, volta a convincere i governi nazionali ad aderire ai trattati europei, cosa che avverrà in maniera passiva, quasi inconsapevole.

E’ proprio Guido Carli nel volume “Cinquant’anni di vita italiana” edito da Laterza, a chiarire le conseguenze politiche ed economiche del processo di integrazione europea: «L’Unione europea implica la concezione dello ‘Stato minimo’, l’abbandono dell’economia mista, l’abbandono della programmazione economica, la ridefinizione delle modalità di composizione della spesa, una redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari ed aumenti quelle dei governi»

L’idea alla base del vincolo esterno era quindi quella di indebolire i governi nazionali, e al tempo stesso consentire loro di prendere decisioni impopolari, o meglio di ratificarle con un facile alibi, la famosa frase “Ce lo chiede l’Europa” che ancora oggi ci sentiamo ripetere ogni volta che ci vengono chiesti dei sacrifici.

A poco sono valsi gli sforzi di grandi economisti come Federico Caffè, da sempre contrario all’adesione incondizionata ai trattati europei, la maggior parte della classe dirigente italiana sposò con entusiasmo la linea di Carli, facendo prevalere gli interessi personali e di partito piuttosto che una visione lungimirante di Stato.

L’adesione allo SME, il sistema monetario europeo, del 1979 fu il primo passo, un accordo tra i paesi membri per il mantenimento di una parità di cambio prefissata che svuotava di fatto di qualsiasi potere la Banca d’Italia, vincolandone in maniera decisiva la politica monetaria.

Il secondo passo fu la separazione tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, avvenuta nel 1981 per volontà di Beniamino Andreatta e di Carlo Azeglio Ciampi, senza passare tra l’altro da un vero dibattito parlamentare.

L’importanza di questo evento è decisamente sottostimata, di fatto la Banca d’Italia cessava di essere garante dello Stato, rimettendo il giudizio sul debito pubblico italiano interamente al mercato, e limitando così in maniera notevole i margini di manovra di qualsiasi governo.

Il terzo e decisivo passo fu l’adesione al progetto di unificazione monetaria con la firma del Trattato di Maastricht avvenuta nel 1992, il cui negoziato per inciso fu portato avanti dallo stesso Carli.

L’imposizione piuttosto stringente dei vincoli di bilancio previsti dal Trattato rende impossibile raggiungere in autonomia i classici obiettivi di politica economica come la crescita e la piena occupazione. D’altronde l’impostazione liberista del Trattato è figlia del principio del laissez-faire, ovvero l’economia è in grado di aggiustarsi da sola, senza alcun intervento dello Stato.

Non sarà più possibile svalutare la propria moneta per rendere più appetibili le merci prodotte nei propri confini, non si potrà finanziare il proprio deficit attraverso la creazione di nuova moneta, non ci sarà alcun controllo sui tassi di interesse. Le autorità locali non avranno alcuno strumento effettivo di politica economica, la loro scelta sarà confinata a materie di interesse relativo. Con Maastricht è stata data ai paesi aderenti, la fantastica opportunità di prendere decisioni su un grandissimo numero di temi del tutto ininfluenti, e seguire invece i diktat europei per le questioni davvero importanti.

Come abbiamo visto con la crisi del 2008, le restrizioni imposte dal trattato di Maastricht hanno di fatto impedito alle singole nazioni di perseguire in maniera autonoma adeguate politiche fiscali portando ad una lunga crisi economica ed in qualche caso, vedi Grecia, al disastro totale. E la cosa si è ripetuta puntualmente con la recente pandemia, con l’aggravante di aver mostrato i danni provocati dai tagli alla spesa pubblica in materia di Sanità.

Ci troviamo così ai giorni nostri ad affrontare crisi gigantesche con armi completamente spuntate, sperando che di volta in volta qualcuno a Bruxelles ci dia il permesso di mettere in atto le misure necessarie per affrontare le gravi problematiche che stiamo vivendo.

Inflazione, crisi geopolitiche, aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, richiederebbero risposte rapide decise a livello nazionale, che però sono rese impossibili dal vincolo esterno con il risultato di mostrare, ancora una volta, tutti i limiti di una Unione Europea che è tale solo di nome e quasi mai di fatto.

Per uscire da questo circolo vizioso l’ostacolo principale, ed in questo non si può dare torto a Carli, è dato da una classe politica che si è mostrata decisamente non all’altezza. Servirebbe un cambio radicale, dirigenti preparati, dotati di visione a lungo termine e di amore per la Nazione, che non si rassegnino a fare i passacarte di qualche istituzione o potenza straniera e si adoperino per gli interessi del nostro meraviglioso Paese.

Ma ci rendiamo conto sia più un mero auspicio che una vera possibilità.

Oggi più che mai appare chiaro che la scelta fatta, ci piace rimarcarlo senza alcuna consultazione popolare e con limitatissimi dibattiti parlamentari, sia stata presa consapevolmente per lasciare il paese in mani straniere senza alcuna possibilità di tornare indietro.

 

 

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7 Commenti

  1. Gianluca Favro

    L’economia, la storia e l’analisi sociale si ritrovano in questo disegno del contesto che 40 anni fa ha permesso di porre le fragili basi dell’Italia di oggi.
    Ciò che fa rabbia e’ ripercorrere con la memoria tutto ciò che abbiamo letto di questi uomini e delle loro decisioni, puntualmente sdoganate come punti determinanti per l’ammodernamento del Paese, la sua sprovincializzazione e la maniera per dotarlo di strumenti competitivi più forti.

    Quante bugie abbiamo sentito e quante ne sentiamo ogni giorno. Eppure non sembra che abbiamo imparato a difenderci dalle vere fake news…

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  2. Anonimo

    Grande articolo . Si pensa sempre di sapere molto ma in realtà’ sappiamo spesso solo quello che ci vogliono far sapere .

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  3. Sisko

    Ottimo articolo, sarebbe interessante aggiungere anche un analisi sulle interferenze dei nostri “alleati” nella politica interna, come le privatizzazioni con il dollaro a 2000 lire e subito dopo L entrata nell euro a 1937 lire. Hanno acquistato gioielli della ns industria a prezzi da saldo per avere alti profitti in valuta pregiata, aumentati ulteriormente dalla disparità con il dollaro. Depauperamento delle ns esportazioni e aumento del debito. Il cappio al collo che con la complicità della DC, Pentapartito e compagnia i nostri “Alleati” ci hanno regalato. Poi ovviamente siamo anche bravi a farci male da soli, per anni abbiamo disertato il parlamento europeo invece di conquistarlo e creare un Europa dei popoli non delle Banche e siamo in queste condizioni…

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  4. Andrea

    Avevo letto quel libro di Carli quando era uscito, ma allora non immaginavo che le conseguenze di quelle scelte potessero essere questo disastro. Presumendo la buona fede delle elite politiche del tempo, bisogna pensare che abbiano creduto di rafforzare l’Italia distruggendone volontariamente parte della sua sovranità a favore di un unità economica europea. Tutto si è rivelato sbagliato e non ci può essere buona fede in chi ancora difende quelle scelte.

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  5. paolo

    Basterebbe solamente rileggere rileggere rileggere
    e riascoltare riascoltare riascoltare quello che diceva un Signore circa 25 anni fa a questo proposito

    Quel Signore si chiamava Bettino Craxi……e guardate come caz….. lo abbiamo trattato.

    Fosse stato per lui col cavolo che entravamo in questo club di ladri….e allora ci hanno inventato mani pulite….il resto sono chiacchere e storia……e da oltre 20 anni siamo “felicemente” nella cacca, ma siamo utili idioti e ben ci sta…..e il bello deve ancora arrivare.

    Grazie amerika……grazie….tks so much.

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  6. paolo

    Piano Marshall….. In realtà si chiamava “European Recovery Plan”…….

    adesso abbiamo il recovery europeo….wooowwww….ci ricorda qualcosa?????

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  7. Fabio D'Alessandro

    articolo puntuale e puntuto. Realtà storica purtroppo ineccepibile. Va anche detto che la nostra nazione sin dall’inizio nasce come ‘non sovrana’. Tutti i tentativi di ritagliarci un ruolo serio – anche grazie a veri genii e patrioti – sono stati rintuzzati, a volte anche nel sangue. Penso ad Olivetti, Mattei, alla Montecatini. Ma anche Craxi e Berlusconi, che cercarono di dare all’Italia una vera politica estera

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